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Teresa Papavero è un mito. È imbranata ma spericolata, non ha un fisico da top model eppure riesce ad attirare uomini con un certo fascino – salvo poi prendere qualche batosta, come è accaduto con Serra, un poliziotto bello e dannato che di punto in bianco l’ha mollata.
Molto Bridget Jones negli atteggiamenti, in questa nuova avventura, Teresa Papavero e lo scheletro nell’intercapedine (Giunti), il lettore prenderà atto di tutto il suo inaspettato coraggio, del suo sangue freddo in una vicenda dai contorni noir: Teresa, dopo aver trovato dei resti umani nel B&B che sta risutrutturando, si metterà sulle tracce di un serial killer e affronterà situazioni davvero al limite.
Se è confermata l’ironia come cifra stilistica dell’autrice, Chiara Moscardelli, è tangibile l’atmosfera un po’ più adrenalinica del terzo romanzo in cui è protagonista Teresa. Del resto, uno scheletro nascosto in un’intercapedine a Strangolagalli non si era mai visto ed è il punto di partenza per un’indagine piena di sfumature e colpi di scena. L’obiettivo degli inquirenti è scoprire a chi appartenevano quei resti mentre Teresa inizierà una full immersion nel passato della propria famiglia, convinta che quella vicenda così torbida sia in qualche modo legata alla scomparsa della madre.
Tra personaggi singolari e strampalati – un padre noto psichiatra, un amante medico legale, cittadini di Strangolagalli che sembrano macchiette… – equivoci, doppi sensi, notti di fuoco e una caccia serrata al mostro, si intrecciano spaccati in cui il serial killer, con la sua dose massiccia di efferatezza, è protagonista assoluto.
Pur non perdendo affatto l’ironia che la contraddistingue, dalle battute a effetto alle descrizioni sui generis, in Teresa Papavero e lo scheletro nell’intercapedine la Moscardelli ha osato avvolgendo con un pizzico di brivido la vita di una quarantenne che riesce a rappresentare bene, con le sue contraddizioni, un po’ tutte noi.
Chiara Moscardelli, romana, vive a Milano. Volevo essere una gatta morta, suo romanzo d’esordio (ripubblicato da Giunti in edizione tascabile nel 2016), ha avuto un grande successo di pubblico e di critica, diventando in breve un libro di culto. Nel 2013 è uscito per Einaudi La vita non è un film, mentre Giunti ha pubblicato Quando meno te lo aspetti (2015), Volevo solo andare a letto presto (2016), Teresa Papavero e la maledizione di Strangolagalli (2018).
L’INTERVISTA
In questa seconda avventura letteraria troviamo Teresa alle prese con un serial killer. Si avverte un cambiamento nello stile, alcune pagine dal genere rosa virano sul thriller. Come è riuscita a renderle così bene, è stato difficile misurarsi, anche se parzialmente, con un nuovo genere letterario?
“Mi è sempre piaciuto mescolare i generi. Nel mio secondo romanzo, La vita non è un film ma a volte ci somiglia, il thriller era preponderante (anche lì la protagonista era alle prese con un serial killer mica da ridere! Strappava gli occhi alle vittime e li teneva come souvenir) ma sempre alternato a una buona dose di humor e di commedia sentimentale, i miei cavalli di battaglia. Diciamo che per riuscirci mi ispiro a grandi maestri come Woody Allena e Hitchock (non diciamoglielo, però).”
Quanto c’è di lei in Teresa?
“Teresa è la mia nemesi, è tutto ciò che vorrei essere e non sono, in fatto di uomini. Lei ne ha molti che le ronzano intorno, io neanche uno! C’è molto, invece, di me sul piano lavorativo e, più in generale, affettivo. Teresa ha comunque paura dell’amore, io anche, è insicura, come lo sono io, e alla ricerca di un posto nel mondo, cosa non facile. Ma, come me, ha gli amici che la sostengono.”
In Teresa papavero e lo scheletro nell’intercapedine ha utilizzato un cognome che rievoca una persona nota per i suoi crimini efferati. Un caso o una scelta consapevole?
“Sì sì, il serial killer ha un cognome che è un bel mix di tutti i seriali italiani. E ce ne abbiamo avuti eh! Non abbiamo nulla da invidiare agli americani.”
È già al lavoro per il volume conclusivo della trilogia di Teresa Papavero?
“Ce l’ho già in testa, quello sì. Ma devo mettermi a scrivere!”
Nei suoi libri le pagine dei ringraziamenti sono tante e sembrano quasi un romanzo nel romanzo. È un modo per dimostrare gratitudine a quanti le sono stati accanto nella stesura ma sembra che lei comunque si diverta a scriverle. È così?
“Una bella domanda! Grazie. Mi permette di dire finalmente che sì, sono grata a tutti quelli che mi sopportano ogni giorno e questo è il mio modo di dimostrarlo. Poi è vero, mi diverto anche molto!”
Rossella Montemurro