"(…) a un certo punto, quando pensavo di aver trovato quello che di solito chiamiamo equilibrio e che io preferisco definire un accettabile compromesso, sei apparsa e mi hai comunicato che stavo sbagliando tutto, cioè, che esisteva una parte di me ancora desiderosa di...
Pubblichiamo il testo dell’omelia che Mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, Arcivescovo della Diocesi di Matera-Irsina e Vescovo di Tricarico, ha pronunciato questa mattina alle 4.30 in Piazza San Francesco d’Assisi a Matera durante la Messa dei pastori e dei giovani che apre la festa di Maria SS. della Bruna, patrona della città dei Sassi.
Carissimi,
sabato sera, nella tradizionale accensione delle luminarie, è stata innalzata una composizione di girasoli a forma di sfera, ad indicare che la luce che illumina veramente il cuore degli uomini è Cristo. L’evangelista Luca indica Gesù Cristo nel sole che ora sta sorgendo, luce che vince le tenebre, ma qui nel cielo sopra di noi c’è anche la stella del mattino, che indica il sole che sorge, ed è identificata con Maria, la nostra Madonna della Bruna.
L’inizio di questo nuovo giorno, nella storia di Matera, rappresenta il cantico d’amore di cui abbiamo sentito nella prima lettura. Immagine bella, potente, coinvolgente, espressa nella ricerca e nel bisogno d’amore tra un uomo e una donna. Questa immagine, che chiunque può cogliere e capire, è diventata la parabola d’amore del Signore verso Israele prima e, con l’incarnazione di Cristo, verso la sua Chiesa dopo. Cristo è lo Sposo, la Chiesa è la Sposa e Maria è l’immagine della Sposa.
Noi tutti, in particolare stamattina, attorno a Maria e sotto il suo vigile sguardo, ci sentiamo, e lo siamo realmente, Chiesa, quindi Sposa bisognosa d’amore, di essere amata per vivere la fecondità della vita di cui la nostra città, la nostra terra, il mondo intero hanno bisogno. Il desiderio di amore, quindi di fraternità, è radicato nel più profondo dell’essere umano, spesso non colto nella sua essenza a causa dei nostri limiti. Ed è per questo che abbiamo sete, sentiamo un forte desiderio di pienezza e di vita, avvertiamo il bisogno di vivere un’esistenza più dignitosa e più bella. Noi che siamo figli di Maria e che riconosciamo lei come nostra Madre, non possiamo prescindere da quanto dice Gesù: «Voi siete tutti fratelli» (Mt 23, 8).
Ci sono tre immagini che ricaviamo dalla prima lettura e che possiamo riassumere con il sigillo: «Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio»; con la morte: «Perché forte come la morte è l’amore»; con il fuoco: «le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma divina» (8,6).
Il sigillo mette in evidenza che l’amore, quindi il matrimonio, non può essere considerato un affare privato tra due persone. Deve necessariamente mostrare la sua bellezza che gli altri devono riconoscere e ammirare in tutta la sua santità, perché viene da Dio. Non vi pare, carissimi giovani, che stiamo vivendo un periodo in cui l’amore, pur essendo tanto inneggiato, viene vissuto come possesso, in cui il soggetto amato diventa “cosa” personale, da possedere, da usare e, in qualche caso, da distruggere? Come si spiegano i tanti femminicidi ai quali, purtroppo, quotidianamente assistiamo? Sono amori malati che trovano la loro origine in deviazioni patologiche ed egoistiche e rendono sterile ogni tipo di rapporto umano.
Il sigillo di cui parla il Cantico dei Cantici è quello che è stato impresso nel cuore e sul braccio della Madonna della Bruna che ha saputo accogliere l’amore vero e ne ha fatto un tesoro per tutti noi, concependo e donandoci Gesù, Amore infinito. Quando Dio ha pensato e progettato di creare ogni cosa per amore, ha chiamato gli esseri umani ad essere figli adottivi per renderci fratelli. E’ l’unica strada percorribile affinché con il nostro amore reciproco, dono dello Spirito Santo, si possa edificare nel tempo la famiglia del Padre (cf. Gen 12). E’ questa la nostra vera identità: figli di Dio e fratelli tra noi.
La seconda immagine è quella del confronto con la morte. Se ci pensiamo bene la morte vuole distruggere l’amore, ma l’amore ha il potere di annientare la morte. Ciò che spezza la comunione con l’amore, quindi con Dio, di conseguenza con i fratelli e con tutto il creato, sono i nostri errori che non vogliamo riconoscere. Ci portano a consegnare la nostra vita preziosa alla morte. Sono le nostre scelte sbagliate che trovano le loro radici indietro nel tempo e che di cui ora stiamo purtroppo pagando le conseguenze.
Se non ritorneremo alla legge della fraternità, che è nello stesso tempo umana e divina, continueremo a bagnare le nostre strade, le nostre case, la nostra terra del sangue che, come quello di Abele, continua a gridare al cospetto di Dio.
E’ il sangue di Satnam Singh, il bracciante abbandonato davanti a casa con un braccio amputato e sfruttato dall’iniqua legge del caporalato. E’ il sangue di Thomas Christopher Luciani, il sedicenne ucciso da due suoi “cosiddetti” amici con 25 coltellate. E’ il sangue dei tanti che ogni giorno perdono la vita sul posto di lavoro. E’ il sangue che scorre sulla terra di giovani inviati al fronte di guerre scellerate e devastanti per tutti.
Ma queste lacerazioni non possono e non devono avere l’ultima parola. La storia della salvezza, proprio attraverso quel Bambino che vediamo nella mano della nostra Madonna della Bruna, ci indica la vittoria sulla morte perché ci rimanda alla responsabilità di avere cura del prossimo e della casa comune, la terra. Il sangue ci rimanda a quello spremuto, come acini d’uva, sull’albero della Croce: il sangue di Gesù Cristo per lavarci dai peccati e ridarci il sapore della vita perso.
Ma l’immagine più bella, come conseguenza delle altre due, è la terza. Ci dice che l’amore tra uomo e donna, quindi tra tutti noi, partecipa del grande fuoco dell’amore di Dio che «nemmeno le grandi acque potranno spegnere, né i fiumi travolgerlo». Solo ritornando a questo tipo di amore possiamo avere la certezza di ricostruire un mondo più vero e più giusto. Oggi come ieri sentiamo come l’amore tra fratelli è così necessario che, senza questo legame, la società non potrebbe esistere. Pertanto, noi tutti che ci riconosciamo di appartenere alla famiglia di Dio, in quanto fratelli, abbiamo il sacrosanto dovere di favorire la solidarietà originaria nella diversità dei suoi membri e creare un equilibrio tra loro. Purtroppo le tante discriminazioni, i numerosi distinguo e steccati continuano ad allontanare gli uomini tra di loro, a creare fossati, muri, quando invece abbiamo bisogno di costruire ponti fatti di relazioni umane, di amore da scambiarci, di perdono che feconda la nostra convivenza su questa terra per desiderare quella eterna.
Ed è S. Paolo, carissimi, che nella seconda lettura ci fa capire come il culto cristiano non deve fermarsi mai solo ai riti, alle devozioni, alle stesse tradizioni religiose. Bisogna andare oltre. Senza aderire a Dio ogni giorno, senza la promozione del bene comune e della giustizia in tutto quello che facciamo (lavoro, famiglia, con gli altri sia nella condivisione della gioia che del dolore) non ci potrà essere vera festa e quindi vera liberazione da ciò che ci rende schiavi delle nostre stesse scelte. S. Paolo viveva in un contesto storico molto simile al nostro in cui la logica del mercato e del profitto allontana da Gesù Cristo.
Infatti S. Paolo, se ci avete fatto caso, non chiede di cambiare il mondo ma se stessi attraverso un nuovo modo di ragionare, di pensare, di progettare e costruire, sostituendo il potere con il servizio e l’interesse con la gratuità, perché il cristiano non si conforma al modo di fare di tutti gli altri. C’è bisogno di chi sappia seminare pace, solidarietà, stima, perdono, misericordia, giustizia, non cedendo alla vendetta anche nei momenti più difficili, anche di fronte alla violenza gratuita.
Siamo chiamati ad essere segno di una fede concreta, incarnata, vissuta, che ci rende capaci di amare la vita. Mi sembra significativo quanto il giovane cantante Alfa, nella sua bella canzone “Vai”, presentata all’ultimo Sanremo, dice:
Non guardare indietro e vai vai
Mi han detto punta al sole ma non come Icaro
che il mondo è troppo grande per pensare in piccolo
ma se morirò da giovane
qualcosa avrò da scrivere.
Mi han detto aspetta che arrivi il mattino
dopo prendi tutto e vai
io voglio solo vivere
sia piangere che ridere
il cielo sarà il limite
se stai via dalla strada e via dai guai.
Con questi sentimenti e desideri, fra poco, carissimi giovani, al termine della messa, al seguito di Maria e con Maria, vi metterete in cammino con i pastori, percorrendo le strade dei Sassi. Sarete come i discepoli di Emmaus, così come abbiamo sentito nel vangelo, con la vostra storia costellata di gioia e dolore, delusione e tristezza, paura ed entusiasmo, sogni e desideri …
In questo vostro cammino anche questa mattina, Gesù si accosterà a voi e camminerà con voi, anche se i vostri e i nostri occhi non saranno in grado di riconoscerlo. E’ sempre così. Pensiamo che il Signore non ci sia, non ci ascolti, ci abbia abbandonati o addirittura non esista. I giovani di Emmaus, come ognuno di voi, hanno bisogno di essere ascoltati per essere capiti. Nello stesso tempo hanno bisogno di ascoltare una parola di vita, di fiducia, di speranza che si concretizza nel gesto e nell’invito di trattenere Gesù accanto a sé.
E’ una storia vera che ci riguarda e ci avvolge. E in questa storia che Dio scrive, c’è la presenza della Madonna della Bruna che, come alle nozze di Cana, ci dice: “Fate quello che lui vi dirà”.
Con Maria, sul suo esempio, torniamo ad ascoltarci reciprocamente, cogliendo nell’altro il senso del suo racconto, il suo messaggio che dobbiamo intercettare per far cadere pregiudizi, evitare isolamenti, liberarsi da ogni forma di bullismo, aprire strade nuove e rotte sui mari della storia per arrivare al porto agognato. Mai da soli ma sempre insieme per remare sulla stessa barca, nella stessa direzione.
Santa festa della Bruna a tutti. Così sia.
Foto TRMTV