Si è svolta questa mattina, presso la Sala Ottagonale della Tenuta Gala di Acerenza, la celebrazione dei vent’anni di attività del Centro di Riabilitazione “Don Michele Gala – Don Gnocchi”, una delle strutture di riferimento della Fondazione Don Gnocchi in Basilicata....
Roma è sempre la stessa, caotica e maestosa, sacra e umana, capace di ospitare in sé la grandezza della storia e la fragilità della vita. Proprio tra le sue strade, l’altro giorno, ho vissuto un incontro che difficilmente dimenticherò. Sono andato a trovare un mio carissimo amico, un sacerdote che ha rappresentato per me, e per molti altri, un punto fermo nella fede e nell’amicizia. Era da tempo che non ci vedevamo, e sapevo che la sua salute era peggiorata. Ma nulla poteva prepararmi a quello che ho vissuto. L’ho trovato profondamente segnato dalla malattia. Il corpo provato, il respiro affaticato, ma lo sguardo… lo sguardo era incredibilmente limpido, sereno, pieno di pace. Non la pace che viene dall’assenza di dolore, ma quella che nasce dalla certezza di non essere soli, dalla consapevolezza che la vita ha un senso anche nella sofferenza, e che quel senso ha un nome: Dio. Con un filo di voce, gli ho chiesto come si sentisse. La sua risposta mi ha colpito come un fulmine: Poche parole, ma cariche di un significato immenso. Nessuna paura, nessuna ribellione, nessun “perché proprio a me?”. Solo attesa. Un’attesa piena di fiducia, come quella di un figlio che sa di tornare tra le braccia del Padre. Una dichiarazione di fede che non ha bisogno di teologia o citazioni dotte, perché è già, in sé, Vangelo vivo. In quel momento, mi è subito tornato alla mente un passaggio della seconda lettera di San Paolo a Timoteo, che sembra scritto proprio per persone come lui: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno.” (2 Timoteo 4,7-8) Sì, il mio amico sacerdote ha davvero combattuto la buona battaglia. Non ha mai cercato la gloria né le luci della ribalta. Ha servito Dio e la Chiesa con discrezione, ascoltando, consolando, aiutando, pregando. La sua è stata una corsa fatta di piccoli gesti quotidiani, di presenza silenziosa, di fedeltà. E oggi, alla fine di quella corsa, non c’è disperazione. C’è solo attesa. L’attesa della corona, che non è un premio, ma un abbraccio: quello del Padre. Viviamo in un’epoca in cui la malattia viene spesso nascosta, la vecchiaia messa da parte, la morte evitata come argomento scomodo. Eppure, proprio in questo tempo, l’esperienza di un uomo come questo sacerdote ci obbliga a fermarci e riflettere. Cos’è che davvero conta nella vita? Cosa resta quando tutto il resto viene meno? La risposta, lui ce l’ha offerta con una semplicità disarmante: resta la fede. Non una fede teorica o gridata, ma una fede matura, vissuta nel quotidiano, nelle prove, nei silenzi. Una fede che si è consolidata giorno dopo giorno, e che ora, nel momento più difficile, non vacilla, ma si mostra in tutta la sua forza. In un mondo pieno di rumori, parole urlate e certezze apparenti, fa un certo effetto trovarsi davanti a un uomo che, con voce quasi impercettibile, riesce a dire tutto con una sola frase. E a insegnarti più di mille omelie. Quante volte, di fronte alla sofferenza, ci lamentiamo, ci arrabbiamo, ci chiudiamo. Lui no. Lui guarda al tempo che resta non con rassegnazione, ma con gratitudine. “Aspetto di stare tra le Sue braccia” non è un addio, ma un arrivederci. Non è un lamento, ma una lode. È la voce di chi sa che la vita è un dono, e che anche la morte, in fondo, può diventarlo, se vissuta nella fede. La sua testimonianza è un’eredità spirituale preziosa. Non solo per chi lo conosce, ma per tutti noi. In un tempo segnato dalla paura della fine, c’è ancora chi sa aspettare la fine come un incontro d’amore. In un mondo spesso segnato dal cinismo, c’è ancora chi crede fino in fondo, e lo fa con il sorriso sulle labbra. E allora, oggi più che mai, forse dovremmo imparare a guardare la vita – e anche la morte – con i suoi occhi. E con il suo cuore. Quello di un uomo che ha speso tutto se stesso per gli altri, e che ora, semplicemente, attende. Tra le Sue braccia.
Nicola Incampo

