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Ennio Masneri è tornato in libreria con un giallo dal titolo La misura dell’orizzonte (Golem Edizioni, Collana Le Vespe n. 58).
Un poliziesco che scandaglia l’animo umano: cosa siamo disposti a sacrificare per salvarci o per difendere il nostro ideale di giustizia?
Ennio, partiamo dalla collana… forse con questa tua nuova uscita vai a “punzecchiare” qualcuno?
Più che punzecchiare metto in luce una certa mentalità nascosta agli occhi di tutti, ma ancora imperante nel sottobosco sociale calabrese. Mi piace pensare che questo mio libro, e spero pure i seguenti, siano un buon viatico per convincere molti a scardinarla, altrimenti non si va da nessuna parte e si rischia di non far altro che aumentare il gap socio-economico con il nord e i paesi dell’UE molto più avanzati. La difesa delle tradizioni e dell’ecosistema calabrese è sacrosanta, ma non si può usarla a mo’ di giustificazione per impedire il progresso che, anzi, va usato proprio per tramandarle e proteggerle… un esempio tra tutti? L’uso dei droni di ultima generazione per individuare i piromani.
Punzecchio, insomma, il calabrese che preferisce l’omertà, la pigrizia mentale ed emozionale, il buonismo, l’accondiscendenza solo per la difesa di un falso onore che produce unicamente danno a tutti. Ancora adesso c’è lo stereotipo secondo cui il vero problema della Calabria è il calabrese stesso: io e molti come me ci rifiutiamo di lasciarlo passare e faremo di tutto perché scompaia nel tempo insieme a quella mentalità stretta, pesante, troppo vecchia e inutile per i tempi attuali.
Nel 2021 hai esordito con una raccolta di romanzi brevi noir e poi con l’opera L’ombra del ciliegio che si è aggiudicato il primo premio in occasione della VII edizione del Premio Internazionale Castrovillari Città Cultura per la sezione Letteratura per bambini e ragazzi.
La misura dell’orizzonte è il tuo primo romanzo poliziesco con protagonista il commissario calabrese Corrado Perri. Come è stato il salto letterario tra generi?
Quasi insignificante perché era un progetto che covavo di pari passo da un bel po’ di tempo. Si può dire che con il primo libro noir “Il silenzio del niente” ho gettato le basi del mio Perri, in quanto il noir stesso è un sottogenere del poliziesco e a sua volta del giallo. Il noir indaga dal punto di vista della vittima o di un sospettato (e infatti considero anche il mio “L’ombra del ciliegio” una specie di noir fantasioso con un insegnamento in sottofondo), mentre il poliziesco indaga il crimine stesso cercando di capirne i motivi e al tempo stesso scoprendo le varie sfaccettature che vivono nell’animo umano a beneficio dell’investigatore e del lettore che ne prende i panni. Ogni libro che si rispetti scruta le azioni degli esseri umani, ne fa una specie di filosofia morale insomma, mentre l’omicidio, in comunanza con lo stupro, è il massimo dell’efferatezza, ed è lì che si scopre la verità degli istinti bestiali che vivono sottaciuti ancora dentro di noi.
Che cosa è per te la Giustizia?
Me la immagino come una vecchia Signora, tutta piena di cicatrici ma ostinata, anche se inizia a sentire una certa stanchezza per processi farsa o processi mediatici a fini di entrate pubblicitarie. Ormai si danno più diritti agli assassini, stupratori, ladri, truffatori, trafficanti di armi e di esseri umani, che alle vittime e ai loro parenti. Sento tutto il peso che questa Signora deve sorreggere per far sì che la società pretenda il vero valore dei rapporti umani.
È nel cambio di prospettiva, nello sradicamento di certe convinzioni, atteggiamenti, paure, che si può gestire una Giustizia vera ed equa.
Il tuo Commissario Perri incarna perfettamente questo tuo ideale?
Lui incarna il calabrese che non si vuole arrendere facilmente. Non cede a ricatti per rispetto, si adegua a certe convenzioni, a certi meccanismi, ma lo fa solo per avere la libertà di indagare a modo suo e scoprire ciò che invece era proprio sotto al suo naso, rivelandosi un essere umano che sa di sbagliare. Il poliziesco è anche questo: non solo si indaga sull’animo del colpevole, sul riflesso che egli lascia sulla scena del crimine, ma anche sull’animo del protagonista, che di quel riflesso se ne fa portavoce e, tramite esso, vede il vero se stesso fino ad accettarsi. E su tutto quanto aggiunge una buona dose di autoironia perché, comunque, sa che la miglior medicina per affrontare i propri demoni è ridere di se stessi.
Ti sei trasferito al Nord, ma non hai scordato la Calabria, difatti al centro del libro come coprotagonista. Qual è il tuo appello a chi ha scelto di rimanere nella propria terra d’origine tra crisi e opportunità e tra oneri e onori?
Gli direi di rimboccarsi le maniche e di smetterla di passare il tempo a suonare, a cantare e a lasciare che le cose se ne vadano per conto loro o che ci pensino gli altri. La musica e il canto sono belli, ma producono solo a breve termine e per i singoli. So bene che molti miei ex corregionali stanno facendo del loro meglio a non arrendersi, a non farsi mantenere, a ridare speranza a una terra bella, dura e martoriata come la nostra, ma non è con il turismo a tutti i costi e la creazione degli eventi paesani che si possono superare le crisi. Serve il lavoro, quello dei muscoli e del cervello. Con le fabbriche, le start-up, le terre incolte da rimettere in sesto. Bisogna reinventarsi, staccarsi da certi cordoni, imparare da certe realtà produttive, e avere il coraggio di investire sulla più grande risorsa che la Calabria possiede: quella umana, quella di chi ha fame di lavoro, di mettersi alla prova, di essere autonomo. Abbiamo il sole, il mare, il vento: usiamoli per l’energia pulita. Abbiamo centrali dismesse e campi abbandonati: usiamoli per produrre lavoro e cambiare una società che non vuole più fare figli. Già adesso vedo che stanno facendo tanto anche dal punto di vista politico, ma la strada è ancora lunga e ha tanti ostacoli figli di vecchie mentalità rurali e sessantottine che devono essere superati. A tutti i costi.
Il tuo poliziesco, insomma, è perfetto per una lettura spensierata sotto l’ombrellone o tratta temi su cui soffermarsi maggiormente a riflettere?
Bella domanda! (ride) Per dirlo dovrei essere il lettore di me stesso, ma sono troppo severo! Però, posso affermare che, essendo un poliziesco, oltre a una lettura spensierata grazie all’ironia del Commissario Perri tratta anche temi su cui riflettere quali l’inclusione, la discriminazione, il rapporto con i poteri forti e mostra certe sfaccettature della società odierna ormai ovattate di buonismo e convenienza.
Con il mio Perri ho esposto l’attualità nuda e cruda. Come ogni libro che si rispetti, anche questo potrà essere soltanto un sassolino lanciato nell’acqua e poi svanito nelle profondità dell’oblio, ma è nei cerchi concentrici che si dipanano e si allargano senza confini che affido il mio pensiero, la mia testimonianza. La mia umanità.
Francesca Ghezzani