venerdì, 5 Dicembre 2025

Vent’anni di attività del Centro Gala-Don Gnocchi

Si è svolta questa mattina, presso la Sala Ottagonale della Tenuta Gala di Acerenza, la celebrazione dei vent’anni di attività del Centro di Riabilitazione “Don Michele Gala – Don Gnocchi”, una delle strutture di riferimento della Fondazione Don Gnocchi in Basilicata....

In un tempo in cui la velocità dei cambiamenti sembra travolgere ogni certezza, anche la Chiesa è chiamata a interrogarsi su come restare fedele alla sua missione senza perdere contatto con la realtà. In questo scenario mutevole, la figura del Papa assume un significato ancora più profondo: non solo guida spirituale, ma simbolo di un equilibrio possibile tra fede e ragione, tra radici e futuro. Il Papa che vorremmo – e che forse già intuiamo in alcune figure recenti – non è un uomo perfetto, né un supereroe. È prima di tutto un testimone. Un uomo che sappia abitare la complessità senza semplificazioni, che sia vicino alle persone, capace di ascolto e di empatia. Che non viva isolato nei palazzi vaticani, ma cammini con il popolo, condividendone le fatiche, i dubbi, le speranze. Papa Francesco ha più volte parlato di una “Chiesa in uscita”, che non abbia paura di sporcarsi le mani, di andare incontro alle ferite del mondo. Ed è proprio questo che molti sognano: un Papa che si faccia vicino agli ultimi, che difenda la dignità, dei poveri, dei dimenticati. Che parli non solo ai giovani, ma con i giovani. Che abbia parole forti contro le ingiustizie, ma anche gesti silenziosi di compassione. Il Papa che vorremmo è una guida spirituale che sappia parlare all’anima dell’uomo contemporaneo, così spesso divisa tra ricerca di senso e disincanto. Un Papa che non si rifugi in formule dogmatiche, ma sappia illuminare le domande dell’oggi con la luce del Vangelo. In questo cammino di rinnovamento e dialogo, è inevitabile il riferimento a Paolo VI, una figura che ancora oggi parla al cuore della Chiesa. Uomo di grande intelligenza e sensibilità, Giovanni Battista Montini visse una delle stagioni più complesse della storia recente: quella del Concilio Vaticano II e del post-Concilio, anni di entusiasmo ma anche di forti tensioni. Paolo VI fu il Papa che ebbe il coraggio di traghettare la Chiesa verso la modernità, senza rompere con la tradizione. Fu il primo pontefice a viaggiare in aereo, il primo a parlare all’ONU, il primo a uscire dal Vaticano per incontrare il mondo. Il suo pontificato fu segnato da una profonda tensione spirituale tra innovazione e fedeltà. “La Chiesa si fa dialogo,” scrisse nell’enciclica Ecclesiam Suam (1964), tracciando un orizzonte profetico: solo attraverso il dialogo si può costruire un ponte tra la fede e la cultura, tra il messaggio evangelico e le istanze dell’uomo moderno. In un tempo segnato dalla polarizzazione, il Papa che vorremmo eredita da Paolo VI questa capacità di tenere insieme gli opposti. Di essere, al tempo stesso, profeta e pastore, riformatore e custode, maestro e fratello. Oggi, in un mondo globalizzato, il Papa è osservato da credenti e non credenti, da ogni angolo del pianeta. Le sue parole hanno un peso che va ben oltre le mura della Chiesa. Ecco perché il Papa che immaginiamo deve saper parlare una lingua universale: quella della pace, della giustizia, dell’umanità. Deve essere un uomo che affronta con coraggio le grandi sfide del nostro tempo: la crisi ecologica, le guerre dimenticate, l’individualismo crescente, il declino della fiducia nelle istituzioni. Ma deve anche essere capace di custodire il cuore della fede, senza trasformarla in ideologia o identità chiusa. La sua autorità non nasce dal potere, ma dalla coerenza, dall’umiltà, dalla forza silenziosa del Vangelo vissuto. Il Papa che vorremmo è, infine, qualcuno che non si pone “al di sopra”, ma “insieme”. Un compagno di viaggio nella fede. Un uomo che, come Pietro, non ha paura di ammettere le sue fragilità, ma che proprio in quelle fragilità trova la forza per guidare. Forse, in parte, questo Papa esiste già. Forse ne abbiamo visti i tratti in Francesco, in Giovanni Paolo II, in Benedetto XVI. E certamente in Paolo VI, che, pur tra mille difficoltà, indicò con coraggio una strada che ancora oggi è aperta. Ma ogni generazione ha il diritto – e il dovere – di immaginare la Chiesa che sogna. E nel volto del Papa che vorremmo, si riflette anche il desiderio di un’umanità più giusta, più accogliente, più capace di amare. Non solo una Chiesa migliore, ma un mondo migliore.

Nicola Incampo

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