giovedì, 28 Novembre 2024

Oggi vorrei fare una riflessione sul genocidio avvenuto in Rwanda che provocò più di 500 mila morti tra l’aprile e il luglio del 1994.

Un genocidio mira ad eliminare un gruppo etnico o una parte di esso.

Vorrei ricordare due parole, «hutu» e «tutsi», con le quali normalmente si indicano i due gruppi etnici che costituiscono la quasi totalità della popolazione del Ruanda e del Burundi.

Gli hutu rappresentano circa l’85% della popolazione, i tutsi solo il 14%.

Quei 100 giorni fra aprile e luglio del 1994 hanno posto le basi a una serie di violazioni sistemiche a lungo termine dei diritti dei bambini: uccisioni, stupri e torture, gli abusi e gli sfruttamenti nelle famiglie adottive, la discriminazione, la detenzione senza processo per crimini di genocidio, le malattie, la strada e i soprusi da parte polizia.

La storia racconta che fu impressionante la velocità con la quale l’intera popolazione civile assimilò l’ideologia genocidaria avversa ai tutsi.

I bambini subirono degli attacchi feroci, perdendo completamente la protezione sociale.

Furono uccisi migliaia di piccoli soprattutto a colpi di machete, sottoposti alle stesse mutilazioni degli adulti e, solo in una percentuale minima, finiti da un colpo d’arma da fuoco.

“Hanno circondato il reparto maternità, hanno sfondato i cancelli; è bastato sparare alle serrature. Portavano a tracolla delle cartucciere di cuoio di prima qualità, ma non volevano sprecarle. Uccidevano le donne a colpi di machete e di bastone. Se delle ragazze più svelte riuscivano a scappare nella ressa e a saltare da una finestra, le riacchiappavano in giardino. Se una mamma nascondeva un piccolo sotto il suo corpo, prima la sollevavano, poi facevano a pezzi il bambino e da ultimo la mamma. I neonati, poi, non facevano neanche la fatica di farli a pezzi come si deve; li sbattevano contro il muro per guadagnare tempo, o li gettavano per terra ancora vivi, su una pila di morti […] La mattina eravamo più di trecento tra donne e bambini. La sera, in giardino, eravamo rimaste in cinque sopravvissute, nate dalla parte giusta, tenendo conto delle circostanze, e un bambino.” (Testimonianza di Valèrie, in Hatzfeld)

A causa di questo processo disumano e pieno di ostacoli per l’adozione o l’inserimento in una struttura, nacquero in forma spontanea delle famiglie allargate nelle quali spesso i bambini furono sottoposti a ulteriori forme di sfruttamento e tortura.

Tutto questo è ancora più impressionante se si considera che , i bambini venivano uccisi al pari degli adulti.

Oggi vorrei proporvi come modello questi bambini non perché fossero perfetti, perché i Santi  non sono perfetti, ma per amore della loro fede sono stati massacrati.

Nicola Incampo

Responsabile della CEB per l’IRC e per la pastorale scolastica

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