Balvano è il paese simbolo della devastazione del terremoto del 23 novembre 1980. Oggi, come ogni anno, la comunità si ferma per ricordare le vittime di quella tragica notte. La giornata di commemorazione inizia con una messa solenne nella chiesa ricostruita di Santa...
Prima della pandemia andavo in giro per l’Italia ad aggiornare gli insegnanti, perché invitato dagli uffici scuola diocesani.
Siccome dalla mia Regione non è facile muoversi, né con i treni né con i pullman, spezzavo il viaggio in due: dal mio Paese fino a Roma e da Roma alla destinazione.
A Roma avevo “scoperto” un pensionato al centro e comodo perché passava la Metropolitana.
Il pensionato che oltre ad accogliere ospiti aveva anche una struttura per “assistere” i senza tetto.
Il responsabile del pensionato chiese se potevo aiutare pure io, nei giorni che ero loro ospite, ad ascoltare queste persone.
Tra le tante persone che ho conosciuto, oggi vorrei parlarvi di Peppino.
Quando vidi Peppino per la prima volta rimasi impressionato: non era sporco ed era gentile con tutti.
Peppino si presentò e disse che era di un paesino della Basilicata, un paese che ancora amava, m non voleva tornare, perché non voleva ritornare come ex detenuto.
Peppino era stato in carcere per sei lunghi anni, senza mai perdere la speranza di essere creduto.
Sì. Nessuno lo credeva.
E mi raccontò la sua storia.
“Lavoravo, stavo bene economicamente ed ero anche fidanzato con una ragazza che amavo molto. Era veramente molto bella.
Un giorno il fratello della mia ragazza, un po’ più piccolo di me, mi chiese di essere accompagnato a Bari a fare delle compere. Dissi di sì ed ero contento di andare perché avevo comprato da poco la macchina, una Fiat 124 spider.
Il giorno dopo andammo a Bari.
Mio cognato, ad un certo punto, mi disse di accostarmi al marciapiede e di aspettarlo lì.
Cosa che feci con piacere, perché avevo paura di lasciare la mia macchina nuova incustodita.
Dopo un po’, non ricordo quanto, ritornò mio cognato con delle buste, le mettemmo nel bagagliaio e ripartimmo per il nostro Paese.
Era ormai buio e molto tardi.
Mi cognato mi disse di mettere la macchina in garage, perché il giorno dopo sarebbe venuto a ritirare le buste.
Così feci.
Dopo qualche ora, mentre stavo dormendo profondamente, sento suonare alla porta: erano i Carabinieri.
Mi invitavano ad andare nel garage e ad aprire il bagagliaio.
Cosa che faci immediatamente.
Subito il maresciallo mi strattonò e prese le buste che aprì avidamente: erano tutte piene di banconote.
Non credevo ai miei occhi!
“Queste buste di chi sono?”
“Di mio cognato” risposi con un filo di voce.
Mi misero le manette e mi portarono in caserma e poi in carcere.
Cercai di spiegare al maresciallo la verità, non mi credette.
La dissi al Giudice, la verità, non mi credette.
La dissi al mio Avvocato, la verità, non mi credette.
Nessuno mi ha mai creduto.
Non voglio tornare a casa, perché non voglio essere additato come un ex detenuto, anche se innocente.”
Il racconto mi scioccò.
Con il permesso del responsabile della struttura andai al Paese di Peppino e rintracciai la famiglia.
La sorella quando seppe di Peppino si arrabbiò tantissimo e ricordo che disse queste parole: “Così va dicendo quel delinquente! Voleva far andare in galera mio marito”.
Triste, ma molto molto triste, tornai a casa e quando incontrai Peppino gli raccontai l’accaduto.
Peppino durante il racconta stava con la testa giù, appena finii il racconto, mi disse con un filo di voce: “Neanche tu mi hai creduto”.
Nicola Incampo
Responsabile della CEB per l’IRC e per la pastorale scolastica