venerdì, 29 Novembre 2024

“(…) Il talento non esiste. Non nel modo che intendevano loro, almeno. Non si tratta mai di passione infatti, né di innate capacità: è l’ossessione; è sempre e solo l’ossessione a condurre l’uomo ovunque vada, a dargli una ragione per continuare a camminare, è sempre e solo l’ossessione a convincerlo a non fermarsi quando i piedi sanguinano con una lunga scia rossa alle calcagna. Dovrebbe essere chiaro che il talento non è una questione di muscoli, ma di fantasmi”.

Lucio e Ferro sono diventati amici dopo un brusco scontro da adolescenti. Sono ragazzi appassionati di cavalli, capaci di alzarsi all’alba per montare, che non si spaventano di fronte a cavalli ingestibili né hanno paura di cadere. Diventare numeri uno, dimostrare che quel cavallo, “se lo monta il ragazzino” e fa un percorso netto è tutt’altro che un brocco, incentivare gli acquirenti galoppando su esemplari su cui nessuno avrebbe mai scommesso: questo sono loro.

Soltanto chi ha l’equitazione nel sangue può cogliere l’essenza di Uomini di cavalli (Mondadori) di Pietro Santetti ma ciò non vuol dire che non sia un libro rivelazione anche per quanti non sono esperti di questo sport affascinante, “l’unico sport olimpico in cui si collabora con un cervello non umano: prova a salire su un animale di cinquecento chili e a convincerlo a fare quello che vuoi usando solo gambe e dita, mica saltano da soli. Devi avere occhio, individuare la distanza esatta dove fargli battere i piedi di fronte al salto e farglieli battere proprio lì, perché se sbagli anche solo di pochi centimetri ti ci sfracelli, nel salto. Devi scegliere, e devi saper comunicare la tua scelta in un’infinità di sfumature diverse, perché ogni cavallo è diverso dall’altro e perché ogni cavallo è ogni giorno diverso da se stesso a seconda di come si sveglia”.

L’autore, avendo lavorato come cavaliere professionista in Italia e all’estero fino al 2015, questo mondo lo conosce bene. Dopo aver frequentato la Scuola Holden di Torino, ha dato vita a un libro che appassiona, che parla appunto di quegli uomini che vivono h24 accanto ai cavalli diventando tutt’uno, tra gioie per gare senza speranza che invece si è riusciti a vincere e inevitabili momenti di impasse.

“Si dice che i cavalli possono leggere le emozioni di chi hanno in sella, riconoscere la paura dal tuo respiro, capire dai tuoi movimenti se sei uno di cui ci si può fidare o a cui si possono mettere i piedi in testa e giuro su mia madre che se esiste una cosa vera al mondo allora è proprio questa.”

Lucio si muove sotto il vigile occhio di istruttori – Vieri in primis, un asso che usa però metodi poco ortodossi –, commercianti di cavalli, ricchi investitori e le loro figlie. Tutto sembra a portata di mano, anche il sesso, e di ragazze si fa sin troppo facile conquista. Per Lucio e Ferro l’agonismo accende sogni di gloria e l’ansia sempre più forte di emanciparsi dalla famiglia e dalla grevità della provincia.

“Passavi quindi le settimane in maneggio; ci passavi i giorni, ci passavi le notti. Ti alzavi, salivi in sella e ci rimanevi a oltranza, trenta, sessanta, novanta minuti a cavallo, smollando un’incollatura, migliorando l’impulso di un galoppo, insegnando ai cavalli pigri o scoordinati a reagire alla gamba, ad allungare e accorciare la falcata rapidamente senza sforzo, allenando il fiato, studiando le imboccature, le stinchiere, il mangime, gli speroni, gli esercizi a ostacoli più adatti a seconda del cavallo, del cliente, del concorso (…) Ed era bello soffrire, andare avanti tra fiducia e ostinazione, in direzione di un sogno, anelando il succo dei mesi che stava nelle gare, nelle ragazze, nei viaggi. Il mondo era pieno di ragioni per le quali valeva la pena spaccarsi la vita. Ed era bello. Era bello e non faceva male”.

Basta tuttavia pochissimo per precipitare nei giochi di sopraffazione e compromesso di un ambiente spietato, in cui le molestie sulle allieve sono all’ordine del giorno e la violenza sugli animali, se pur amati, è talvolta necessaria per andare avanti, o addirittura per salvarli dal macello – accade anche a Caligi e Cadis, amatissimi da Lucio ma costretti loro malgrado a finire in un meccanismo perverso.

Questa è una storia che si legge d’un fiato, bella e spietata, uno spaccato inedito in un legame senza tempo: una storia che nessuno meglio di Pietro Santetti, passato dal talento della sella a quello della penna, poteva raccontarla con tanta passione.

Rossella Montemurro

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