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“Non interessa comprendere se un fatto è veramente accaduto, ma quanto si è disposti a credere che lo sia. Ed è questo a fare la differenza, a creare e spartire quel che è vero, da quel che non lo è”. È l’inciso riprodotto nella quarta di copertina dell’opera “Inganno”, l’ultimo lavoro dello scrittore Neil Mongillo, pubblicato nel corso del mese giugno dalla CSA Editrice.
Una trama ammaliante, piena di suspence, in cui atmosfere claustrofobiche si alternano a una vibrante tensione del tutto psicologica, per comporre un rebus, meglio una sciarada che tende ad intrigare sin dalle prime pagine del romanzo. In definitiva, nell’insieme, emerge la composizione di un thriller in cui il lettore si trova ad immergersi in una sorta di dimensione onirica, per quanto contestualizzata e resa pragmaticamente reale dalla definizione accurata della psicologia dei personaggi, da una meticolosa descrizione dei luoghi e da una rivisitazione accorta degli eventi e scenari storici. Ne sortisce un insieme decisamente armonico, in cui non ci si può esimere, da parte del lettore, dall’accogliere una certa trepidazione, che si accresce con lo scorrere delle pagine, e che genera e provocare una naturale propensione a formulare congetture, tese naturalmente a risolvere il complesso intrigo.
Da un brutale omicidio, che affonda le sue radici in eventi occorsi 700 anni prima, al rinvenimento d’un manoscritto segreto, sino ad imbattersi in un oscuro mistero che incrocia le vicende di uomini divisi dalla storia. È così che, il racconto si scioglie in due storie, due thriller che si snodano indipendentemente, così quanto meno appare, ed è di certo una delle peculiarità di quest’opera; ma anche questo, per l’appunto, è una frode, poiché in una costante tensione, gli accadimenti che occorreranno ai protagonisti, una successione d’eventi che trova luogo nella narrazione, stilisticamente accattivante, dei due racconti, infine produrrà una sorta di annullamento del tempo, sino a rendere evidente la necessità di porre in discussione le certezze sedimentate dalla storia, attraverso una disorientante conclusione che è apice dell’intera narrazione.
Il tutto reso attraverso una forte caratterizzazione dei personaggi, sotto il profilo psicologico, che tende ad accrescersi armonicamente nel corso del racconto, ritraendo personaggi sospesi tra santità e perdizione, in un alone solo apparente di dicotomia, presto riassorbita con il palese intento di rendere, nelle sue innumerevoli sfumature, proprio la natura umana, con le sue insite contraddizioni, un indeterminabile e precario equilibrio tra le infinite forme del male e l’incessante ricerca d’una redenzione, tra compassione, che diviene sacrificio per l’altrui bene, e l’aberrazione che sorge e si insinua nel desiderio di prevaricare.
Un romanzo “Inganno”, così come rivela l’autore, che difatti trova la sua origine in otto anni di ricerca, in collaborazione con il professore Alfredo Plachesi, già titolare della cattedra di Storia della critica e della letteratura architettonica di Salerno. Un’indagine che ha affondato le sue radici nell’aspetto esoterico e simbolico d’alcune strutture architettoniche del medioevo, sino a riproporle, nell’opera “Inganno”, attraverso una narrazione romanzata, tesa a porre in rilievo le risultanze della lunga indagine.
Ma tengo a precisare, quand’è che si è cominciata la ricerca, che infine ha consentito la stesura di questo romanzo, non si è mai avuta la presunzione di cercare il vero, ma soltanto quel che altri credevano fosse tale.”