venerdì, 5 Dicembre 2025

Un giorno decisi di scrivere alla lavagna una frase che, a prima vista, potrebbe sembrare oscura: “Muoio, perché non muoio.” Un silenzio improvviso calò tra i banchi. I ragazzi, che solitamente si distraggono facilmente, rimasero con lo sguardo fisso su quelle parole. Mi accorsi subito che quella frase aveva toccato qualcosa di profondo, come se avesse risvegliato in loro un’interrogazione che non avevano mai avuto il coraggio di formulare. Dopo qualche istante, dissi: “Adesso vi leggerò una preghiera. È di Teresa de Cepeda y Ahumada, conosciuta anche come Santa Teresa d’Avila.”

Spiegai loro chi era Teresa: nata il 28 marzo 1515 ad Ávila, terzogenita di una numerosa famiglia, figlia di Alfonso Sánchez de Cepeda, di origine toledana e discendenza ebraica, e di Beatrice de Ahumada. Alfonso si era sposato due volte: dal primo matrimonio nacquero due figli, e dal secondo, nove, tra cui Teresa. A vent’anni, Teresa entrò nel Carmelo de la Encarnación, dopo un travagliato cammino interiore che la portò a quello che lei stessa definì la sua “conversione”. Ma la sua vita fu tutto fuorché ritirata. Divenne una figura di spicco della Riforma cattolica, fondatrice dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi – per monache e frati – e protagonista di una fitta rete di fondazioni in tutta la Spagna, e persino oltre, fino a Lisbona. Morì nel 1582 ad Alba de Tormes durante uno dei suoi numerosi viaggi, instancabile nel corpo e nello spirito.

Poi lessi ai ragazzi una delle sue più celebri poesie-preghiere, struggente espressione del desiderio di Dio:

… Quella vita di lassù

è la sola vera vita;

finché questa vita è viva:

non fuggirmi, dolce morte;

nel morire sono vivo,

che di non morire muoio.

Vita, che mai posso dare

al mio Dio che vive in me,

altro che il lasciare te

per poter meglio goderlo?

Vo’ raggiungerlo morendo

perché lui soltanto adoro,

che di non morire muoio …

Questa poesia, letta nel silenzio attento dell’aula, produsse un effetto sorprendente. I volti dei ragazzi si fecero più seri, come se avessero riconosciuto in quelle parole qualcosa che li riguardava da vicino, anche se in forme ancora confuse. Il desiderio di Teresa, così radicale, così assoluto, li interpellava. E alla fine chiesi loro: Avete mai riflettuto che il desiderio più profondo che abbiamo è quello di Dio?Quel desiderio, aggiunsi, è talmente forte da farci giudicare la vita, da farci percepire la sua insufficienza. Perché solo la vita in Dio è vita piena. E quella che viviamo qui, nella fatica e nell’attesa, è una vita incompiuta, un’esistenza che brama il compimento.

I giovani, spesso etichettati come disinteressati o superficiali, in realtà portano dentro di sé un’inquietudine potente. La loro è un’attesa silenziosa, una domanda che cerca un nome, una verità. Il problema non è che non si pongano domande, ma che spesso non trovano adulti disposti a prendere sul serio quelle domande.

Ecco perché ho voluto proporre loro Santa Teresa: perché la sua poesia non è solo letteratura spirituale, è la testimonianza di una vita spinta all’estremo dalla sete di assoluto. Ed è proprio questa sete – che arde anche nei cuori più giovani – a rendere vera ogni ricerca, ogni domanda, ogni tensione.C’è una fame di infinito nei ragazzi. C’è un bisogno di significato che spesso resta inespresso. Quando incontrano parole autentiche, parole nate da un’esperienza viva – come quelle di Teresa d’Avila – allora qualcosa si accende.È lì che l’educazione diventa incontro. Non è trasmissione di nozioni, ma l’apertura di uno spazio in cui si può finalmente domandare: che senso ha vivere, se non per trovare l’eterno?E quella frase, scritta alla lavagna quasi per provocazione, si è trasformata in una chiave.

“Muoio, perché non muoio.” Una chiave per accedere a quella parte nascosta e profonda dell’animo umano che oggi, più che mai, ha bisogno di essere ascoltata.

Nicola Incampo

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