Venti anni di corsa orientamento per promuovere e valorizzare preziosi angoli del sud d’Italia, a volte meno noti ma in grado di mettere gli orientisti a contatto con territori sempre nuovi, dalla bellezza e dalla tecnicità uniche nel loro genere. Per questo...





Pubblichiamo il testo del Messaggio alle Autorità civili e militari che mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, Vescovo della Diocesi di Cesena-Sarsina, ha pronunciato questo pomeriggio nella Piazza del Popolo di Cesena, prima della Messa solenne di inizio del suo ministero.
Il primo cittadino di Cesena, Enzo Lattuca, ha dato al Vescovo il saluto di benvenuto della città. Dopo la breve cerimonia, è stata raggiunta in corteo la Cattedrale. Di seguito, anche il testo della Omelia pronunciata nella Cattedrale di Cesena durante la Messa solenne di inizio del suo ministero.
SALUTO ALLE AUTORITA’ CIVILI E MILITARI DI CESENA-SARSINA
Egregi Signor Prefetto, Signor Sindaco, Signor Presidente della Provincia, illustri Autorità militari, Amministratori e Rappresentanti dei vari Organismi Sociali,
con piacere oggi sono qui ad incontrarvi per la prima volta, anche se ho già avuto l’opportunità di incontrare alcuni di voi, sia durante la mia visita privata a Sarsina, sia attraverso conversazioni telefoniche con il Sindaco di Cesena e scambi di email con il Sindaco di Gambettola, ma soprattutto il Signor Prefetto con il quale a Matera abbiamo condiviso e sofferto il tempo della pandemia e avviato la preparazione del XXVII Congresso Eucaristico Nazionale e il Colonnello dei Carabinieri Comandante provinciale Samuele Sighinolfi.
Sono giunto nella “città dei Papi” ispirandomi all’insegnamento di Gesù: “ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio” (Mt 22,15-22). Nutro un profondo apprezzamento per chi opera nella funzione pubblica e sostengo tutti voi con la mia preghiera nel pieno rispetto delle convinzioni personali.
Riconosco che la nostra collaborazione si basa su un rispetto reciproco e una leale indipendenza, proprio perché condividiamo l’interesse per il bene della nostra comunità e del nostro territorio. È essenziale perseguire il bene comune.
Spesso il linguaggio della carità si esprime in forma di assistenzialismo. La vera carità, invece, promuove cultura, e la cultura, a sua volta, alimenta la carità. Il miglior progetto che possiamo realizzare per la nostra comunità è intrecciare carità politica e carità pastorale per sostenere la dignità di ogni persona. Abbiamo obiettivi comuni per i quali dobbiamo lavorare con spirito collaborativo.
L’incontro di oggi avviene in una piazza che rappresenta la storia e il futuro di Cesena. Questo spazio è un simbolo di incontro, dove persone di ogni età e condizione sociale dialogano, si scambiano opinioni e vivono la ricchezza delle culture in dialogo. Talvolta, però, la piazza può diventare anche teatro di violenza e conflitti.
E’ il luogo in cui celebriamo momenti di festa e commemorazioni, ed è anche il luogo in cui si ascolta la voce di chi vive drammi che richiedono la nostra attenzione e il nostro impegno.
Stiamo celebrando il Giubileo. Nella mia ultima lettera pastorale: “Viandanti della speranza nelle nostre Chiese locali”, scrivo:
Più avanziamo in età, più ci rendiamo conto che, maturando e crescendo alla scuola della Parola e della vita di grazia sacramentale, siamo viandanti, in un mondo che corre e che non ha tempo per fermarsi, ascoltare, vedere, toccare la vita. Anzi viviamo il tempo più tragico dell’umanità a causa del disprezzo dell’esistenza. Siamo nell’era delle grandi contraddizioni perché diciamo tutto e il contrario di tutto.
Gli scenari di guerra che allargano sempre più i loro orizzonti, procurano morte di migliaia di innocenti e distruzione. Cresce nella nostra nazione il numero di quanti pongono fine alla propria vita (preoccupa il numero crescente di giovani e giovanissimi) o a quella dei propri familiari, conseguenza della mancanza di un vero e profondo senso della vita, che invece ha le sue radici nell’amore infinito… C’è un mondo virtuale che ci sta rubando la gioia di vivere, volontà perverse che ci manipolano, conducendoci dove vogliono loro. Bisogna allertare insieme mente e occhi per essere in grado di distinguere ciò che ci dà vita da ciò che procura morte…
Continuo nel dire anche a noi tutti che siamo viandanti in questo mondo malato, portatori di speranza e agenti di guarigione per la nostra realtà. In mezzo a tante ferite aperte e sanguinanti, notiamo la fatica dei fragili, dei piccoli, dei vulnerabili, dei diseredati, esclusi dal bene comune, dalla giustizia sociale, dalla libertà e dai diritti umani. Sono coloro che non hanno accesso al pane da condividere, alla terra che dovrebbe accogliere, perché tutti noi siamo figli dello stesso Creatore e, di conseguenza, fratelli tra noi. Tuttavia, in questo clima di difficoltà, emerge un forte desiderio di pienezza e dignità, una fame e una sete di vita migliore.
Io stesso, con umiltà, mi unisco a voi portando dentro di me una speranza concreta: Gesù Cristo. È in nome di questa speranza, della Parola che si è fatta carne e sangue, che intendo continuare a seminare in questa splendida terra di Romagna, affinché tutti possano beneficiarne, senza esclusioni.
Vorrei concludere citando le parole di Papa Francesco in occasione della 52ª Giornata mondiale della pace nel 2019, il cui tema era “La buona politica è al servizio della pace“. Riporto solo le virtù del politico, auspicando che i vizi rimangano lontani. In effetti, il Papa si ispira agli scritti del cardinale vietnamita François-Xavier Nguyễn Vãn Thuận, che visse per tredici anni in carcere prima di morire nel 2002.
Beato il politico che ha un’alta consapevolezza e una profonda coscienza del suo ruolo.
Beato il politico la cui persona rispecchia la credibilità.
Beato il politico che lavora per il bene comune e non per il proprio interesse.
Beato il politico che si mantiene fedelmente coerente.
Beato il politico che realizza l’unità.
Beato il politico che è impegnato nella realizzazione di un cambiamento radicale.
Beato il politico che sa ascoltare.
Beato il politico che non ha paura.
Ora, insieme, intraprenderemo un breve cammino. Le strade che partono da questa piazza ci condurranno verso un luogo dove la nostra comunità si riunisce, mettendosi in ascolto del Maestro e Signore, Gesù. Cammineremo insieme per sottolineare l’importanza di procedere uniti, mostrando un volto rinnovato delle istituzioni civili e militari, e della Chiesa, per servire con gioia la nostra terra e la nostra gente.
Avviamoci insieme in pace. Amen.
OMELIA INGRESSO DIOCESI DI CESENA-SARSINA
Carissimi fratelli e sorelle,
con grande gioia mi unisco a voi in questo cammino di fede, seguendo la strada che il Signore ci indica, proprio come fece con Abramo.
Provengo da una terra meravigliosa, la Calabria, ricca di colori, profumi, mari e monti, in particolare dalla Magna Grecia e da Crotone, culla della scuola pitagorica, terra in cui ho servito come parroco per oltre trent’anni. Nove anni fa ho lasciato definitivamente Isola di Capo Rizzuto, la mia Ur dei Caldei, per intraprendere un nuovo percorso nella terra di Lucania. Ho scoperto una realtà straordinaria, con una storia antichissima, tradizioni sentite e una fede che si nutre anche di esse, tutte da abbracciare per servire al meglio la comunità. Ora, come Abramo, mi trovo tra voi, la mia nuova famiglia, sempre più lontano dalla mia terra d’origine, dalla mia casa, oltre l’Eufrate. Due anni fa, tra la notte del 25 e 26 febbraio, nel mio mare, a Steccato di Cutro, si consumò l’ennesima tragedia di immigrati. A nemmeno 100mt dalla riva una barca si arenò con il mare in tempesta. Morirono 94 persone. Qualche mese dopo scesi con un gruppo di preti per pregare e raccolsi su quella spiaggia due pezzi di legno di quella barca che portai a Matera e inchiodai a forma di croce ponendola nella mia cappella. Oggi ho voluto baciare quella Croce nel giorno del mio ingresso per ricordare i tanti crocifissi innocenti in tutto il mondo. Al termine della celebrazione la porrò nella mia cappella.
Un saluto particolare lo rivolgo a Papa Francesco, colmo di preghiera, anche a nome vostro, con l’augurio che presto possa tornare a guidare la Chiesa di Gesù Cristo nel pieno delle sue forze. La mia gratitudine per aver pensato a me inviandomi in mezzo a voi.
Sulle orme del padre nella fede, Abramo, come lui sono entrato in relazione con Dio, che ci esorta a mettere da parte le nostre aspirazioni e a cercare ciò che realmente conta. Sono stato consacrato vescovo per essere pastore. Il mio compito è stare con il gregge che il Signore mi affida, che oggi si chiama Cesena-Sarsina, comunità che diventa la mia terra e il mio popolo, che già amo e che mi impegno a servire come “servo di tutti”.
Come Abramo, in questi 43 anni di sacerdozio, ho compreso che per ricevere, è necessario creare vuoto. Vengo a voi, come ho già scritto, consapevole di non avere né oro né argento, ma ciò che ho lo dono a voi (At 3,6). Tengo presente quanto diceva D. Primo Mazzolari: “Prima ancora della chiesa bisogna costruire la casa: il focolare prima dell’altare. Betlem infatti, precede il Cenacolo: ed il cenacolo è chiesa perché è una casa è un altare perché ha un focolare e una mensa”.
Ringrazio di cuore S.E. Mons. Douglas Regattieri, che ha guidato con amore questa antica e nobile Chiesa di Cesena-Sarsina per 14 anni, nel servizio silenzioso, concreto e attento in tutte le situazioni di fragilità, testimone della Parola fattasi carne. Sono grato per i consigli e l’orientamento che vorrà offrirmi, e sono felice che resterà qui con noi.
Sento con forza le parole che Dio dice ad Abramo: “Non temere. Io sono il tuo scudo” (Genesi 15,1). Questo richiamo mi riporta al gesto liturgico del Vangelo posto sulla mia testa nel giorno della consacrazione episcopale. Comprendo che la Parola di Dio deve penetrarmi sempre più profondamente, affinché la mia vita diventi un Vangelo vivente, poiché “la parola di Dio è viva, efficace e più affilata di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4,12). Questo è il compito principale del vescovo: essere per voi e con voi e oggi inizio questo percorso insieme a voi.
Tutto ha inizio nell’Ur dei Caldei, continua in Canaan, ma alla fine tutto conduce a Dio, la nostra unica patria nei cieli. Come ci ricorda San Paolo, siamo chiamati a lavorare per questa terra, consapevoli della nostra destinazione eterna.
Un saluto speciale va al Presidente della CEER, Mons. Giacomo Morandi, al Metropolita di Ravenna, Mons. Lorenzo Ghizzoni, a Mons. Mimmo Beneventi anche lui proveniente dalla Basilicata e vicino di casa, agli altri confratelli nell’episcopato dell’Emilia Romagna, della Basilicata, rappresentati dal Metropolita Mons. Davide Carbonaro, ai carissimi Mons. Biagio Colaianni da Campobasso-Boiano, Mons. Rocco Pennacchio da Fermo, Mons. Marco Busca da Mantova.
Alla luce della Parola che è stata proclamata, rivisito il pensiero di Tito Maccio Plauto, “È umano amare, ed è ancor più umano perdonare”, e lo collego con quello di una Serva di Dio dei nostri giorni, Chiara Lubich che lo completa, “Per amare, il cristiano deve fare come Dio: amare per primo,”: ci troviamo tutti in un cammino di trasfigurazione. Ognuno di noi, a causa delle fragilità e delle ferite, si scopre sfigurato e ha bisogno di riscoprire il desiderio di Dio, vivendo da trasfigurato in Gesù, luce che brilla nelle tenebre.
Vengo a voi per camminare insieme, carissimi confratelli nel sacerdozio e diaconi, noi tutti consapevoli della necessità di sostenere fatiche e miserie con lo sguardo rivolto a Gesù Cristo, nostra speranza. Il Giubileo che celebriamo ci invita a essere “Viandanti di speranza”. Nei prossimi giorni ci recheremo in pellegrinaggio a Roma, il nostro Monte Tabor, per rivestirci della luce divina, riscoprendo la preghiera e l’ascolto. Saremo consapevoli che il Signore misericordioso ascolta la preghiera del carcerato come quella dell’eremita, del tossicodipendente come quella dei monaci, degli immigrati come quella dei consacrati, degli atei come quella dei pii e fedeli, degli ammalati come quella dei diaconi, dei tanti soli e parcheggiati in case di riposo come quella degli imprenditori e lavoratori, delle autorità civili e militari come quella dei vescovi, dei giovani esuberanti o scoraggiati come quella degli anziani.
Il Signore ascolta la preghiera di tutti, indipendentemente dalla loro condizione. Conto su di voi, presbiteri e diaconi, per aiutarmi in questa missione. Mi metto da subito a vostra disposizione, carissimi sacerdoti e diaconi, per ascoltarvi e conoscervi uno per uno.
Come Gesù, il Buon Pastore, rivela il volto misericordioso del Padre, anche il vescovo è chiamato a essere presente per tutti, esprimendo la paternità di Dio e tendendo le mani a tutti. Sono certo che soprattutto i religiosi e le religiose, i contemplativi, mi sosterrete nella missione quotidiana.
Carissimi, non lasciamoci confondere dalle apparenze e non scoraggiamoci di fronte alle sfide della vita, alle ingiustizie, alle malattie, alla morte di una persona cara. Gridiamo a Dio il nostro dolore, perché questo grido è più autentico delle preghiere recitate senza comprensione. Pregare significa dire a Dio che abbiamo bisogno di Lui. Da soli possiamo perderci nella disperazione, ma insieme a Lui possiamo risorgere.
Saluto le autorità civili e militari presenti e vi ringrazio per essere qui oggi. Un saluto particolare devo al Commissario prefettizio di Matera Dott. Raffaele Ruberto e al Vice Presidente del Consiglio Regionale della Basilicata Dott. Angelo Chiorazzo, che hanno voluto accompagnarmi e starmi vicino anche in questo momento. La nostra reciproca stima e amicizia continuerà a crescere e rafforzarsi.
Un saluto fraterno va ai tanti calabresi, ai miei familiari e parenti, amici presenti in questa Cattedrale, così come ai lucani che sono venuti dalle Chiese sorelle di Matera-Irsina e Tricarico, e dai diversi posti dell’Emilia Romagna,dalla Lombardia, dal Veneto, dal Lazio, dalla Puglia, dalla mia Calabria, dai seminaristi di Matera-Irsina accompagnati dal Signor Rettore,insieme a molti confratelli sacerdoti, nonostante il giorno festivo. Vi ringrazio di cuore: vi ho amati e continuerò ad amarvi perché siete parte della mia vita.
Come i discepoli sul Tabor e Giovanni Battista nel Giordano, sentiamo la voce del cielo: “Questi è il mio Figlio, l’Amato; ascoltatelo”, consapevoli quindi che Gesù è l’Amen di Dio, la risposta a tutta l’umanità.
Terminata la Messa, torneremo nelle nostre case, incontreremo i nostri cari, vicini di casa, amici e conoscenti; attraverseremo strade, colline e valli, scruteremo il mare, entreremo nei luoghi dove la Parola oggi si fa carne e porteremo la luce trasfigurante di Dio. Saremo luce, consolazione, pazienza, misericordia, pianto, sorriso, stringendo le mani per costruire ponti di fraternità, di solidarietà, seminando pace nei solchi della nostra storia. Siete voi, laici e battezzati, a portare questa testimonianza, come il lievito che fermenta la pasta. L’appartenenza a gruppi, associazioni e cammini di fede esprime l’unico volto della Chiesa di Gesù Cristo. Desidero incontrare le singole realtà ecclesiali.
Il vescovo viene per condividere la storia di questa terra di Romagna, che ha affrontato tante prove soprattutto negli ultimi anni a causa di alluvioni, ma continua a brillare, illuminando i cuori con speranza e amore.
A voi, giovani carissimi, che mi avete confortato ieri sera, dico: voglio attingere alla vostra forza e vivere con voi come viandante di speranza. Io ci sono.
Infine affido il mio ministero episcopale alle comunità religiose contemplative della Diocesi, che considero novelli Aronne e Cur che sostenevano le braccia di Mosè. La vostra preghiera sarà preziosa per me.
Mi inginocchio davanti alla sofferenza presente nei tanti Calvari degli ospedali, delle cliniche e delle case di riposo, e nelle famiglie. Stringendo la croce del venerdì santo, attendo con fiducia la gioia della Pasqua, certo che ogni dolore sarà trasfigurato. Sarò tra voi appena possibile.
Affido il mio ministero alla Madonna del Popolo, certo che veglierà su di me e su di voi, come già la Madonna Greca di Isola di Capo Rizzuto, di Capo Colonna a Crotone, della Bruna a Matera, del Carmine a Tricarico. Invoco la protezione dei santi protettori S. Vicinio e S. Mauro e vi benedico tutti. Così sia.
Foto Ufficio Comunicazioni Sociali della Diocesi di Matera-Irsina