"(…) a un certo punto, quando pensavo di aver trovato quello che di solito chiamiamo equilibrio e che io preferisco definire un accettabile compromesso, sei apparsa e mi hai comunicato che stavo sbagliando tutto, cioè, che esisteva una parte di me ancora desiderosa di...
Oggi vorrei proporvi una riflessione sul razzismo e lo vorrei fare con una preghiera tratta dalla raccolte di poesie “Ostie nere” di Léopold Sédar Senghor.
Léopold Sédar Senghor 1906–2001 è stato un politico e poeta senegalese.
E’ stato il primo Presidente del Senegal, in carica dal 1960 al 1980.
Léopold Sédar Senghor nacque in una famiglia di agiati proprietari terrieri nella piccola cittadina costiera di Joal, situata un centinaio di chilometri a sud di Dakar.
All’età di 8 anni iniziò i suoi studi in Senegal in un collegio cristiano di Ngasobil e nel 1922 entrò in seminario: quando comprese che la vita religiosa non era fatta per lui, frequentò un istituto secolare, distinguendosi nello studio di francese, latino, greco e algebra.
Al termine degli studi liceali gli venne assegnata una borsa di studio per continuare i suoi studi in Francia.
Si laureò in lettere a Parigi nel 1935 e per i dieci anni successivi insegnò in qualità di professore nelle università e nei licei francesi: è stato in questo periodo che Senghor, insieme ad altri intellettuali africani venuti a studiare nella capitale coloniale, coniò il termine e concepì il concetto di negritudine, intesa come riscoperta e riappropriazione della cultura africana, in risposta alla cultura europea imposta dai colonizzatori in quanto ritenuta superiore.
La poesia che vi propongo è la seguente:
“Ai piedi della mia Africa, crocifissa da quattrocento anni ma che ancora respira,
lasciami dirti, Signore, la sua preghiera di pace e di perdono.
Signore Dio, perdona all’Europa bianca!
Perché bisogna proprio che Tu perdoni a coloro che hanno dato
la caccia ai miei figli come a elefanti selvaggi.
Perché bisogna proprio che Tu dimentichi coloro che hanno esportato
dieci milioni di figli nei lebbrosari delle loro navi, che ne hanno eliminato duecento milioni.
Signore, il ghiaccio dei miei occhi si scioglie ed ecco
che il serpente dell’odio leva la testa nel mio cuore,
quel serpente che io credevo morto.
Uccidilo, Signore, perché io devo proseguire il mio cammino”.
In questo periodo di pandemia in cui il serpente del razzismo si rivela sempre più, è bello leggere questa poesia che denuncia la sofferenza del popolo nero e che nello stesso tempo evidenzia la necessità di ritrovare un abbraccio col mondo dei bianchi.
Avete notato come questa poesia riesce a far brillare i due sentimenti: il dolore dell’Africa crocifissa e il desiderio di amare e di perdonare.
A me questa poesia piace perché insegna a vivere la fratellanza e la riconciliazione.
Nicola Incampo
Responsabile della CEB per l’IRC e per la pastorale scolastica