La Fondazione Francesca Divella, in collaborazione con il Comune di Matera e l'associazione "Una stanza per un sorriso - Sostiene i pazienti oncologici", è lieta di annunciare la "Giornata della prevenzione senologica e ginecologica", un evento dedicato alla salute e...
Oggi vorrei fare una riflessione sul senso religioso e lo vorrei fare partendo dalla seguente affermazione: “Essere uomo significa essere religioso e gli uomini sono religiosi perché sono intelligenti”. Così affermava Mircea Eliade, storico delle religioni e scrittore romeno.
Questo significa che all’origine del senso religioso c’è l’intelligenza e quindi è necessario chiarire che la fonte dell’intelligenza è lo stupore, cioè la normale capacità dell’uomo di meravigliarsi di fronte al mondo che lo circonda.
Il senso religioso quindi fonda la sua origine nell’incontro che l’uomo ha con il divino: un’esperienza di relazione con il mistero del trascendente, comune a tutti gli uomini.
Si tratta di una predisposizione dell’animo umano.
Ecco allora che la bellezza della natura e dell’universo desta sempre grande meraviglia provocando una naturale riflessione sull’esistenza, sul mondo, sul trascendente, ovvero su ciò che oltre la realtà apparente.
L’uomo con la sua intelligenza è il protagonista di questa apertura che sta oltre.
Infatti l’uomo si meraviglia proprio perché è un essere che riflette e si interroga.
Attraverso la meraviglia si manifesta il desiderio di conoscere.
Ecco perché guardando l’armonia del cosmo, guardando al suo ordine e alla sua perfezione inevitabilmente ci chiediamo: “Chi è colui che ha messo ordine?” Oppure: “E’ tutto frutto del caso o forse esiste un essere superiore che ha architettato tutto?”
La meraviglia è un’espressione umana che caratterizza e fonda l’esperienza religiosa.
E’ importante capire però che mentre la meraviglia si interroga sulla bellezza della vita, l’uomo fa anche esperienza di della difficoltà e della fragilità della vita stessa.
L’uomo sperimenta la gioia di vivere, ma anche la dolorosa realtà della malattia e della morte.
Chi di noi non ha pregato con il salmo 103: “I giorni dell’uomo sono come l’erba; egli fiorisce come il fiore dei campi”
Prendere coscienza di questa sana e positiva inquietudine significa vincere la paura di guardare in faccia alla realtà, cioè significa porsi le domande fondamentali sul senso e sul valore della vita.
Benedetto XVI affermava: “E’ proprio guardando in noi stessi con verità, con sincerità e con coraggio che intuiamo la bellezza, ma anche la precarietà della vita e sentiamo un’insoddisfazione, un’inquietudine che nessuna cosa concreta riesce a colmare”.
Di fronte alla realtà della vita e alla sua provvisorietà l’uomo giunge infatti a chiedersi: Chi sono io? Perché vivo? Da dove vengo? Qual è il mio destino? Perché c’è il male? Perché ci sono sofferenze e morte?
Sono interrogativi profondi che l’uomo, credente o non, si fa in modo consapevole o inconsapevole: sono le domande sul senso della vita, che esprimono il bisogno di verità presente in ogni uomo.
Questo significa che attraverso la riflessione sul senso della vita, l’uomo arriva a comprendere che non esistono solo cose materiali e visibili.
Ecco perché l’uomo percepisce chiaramente che la sua esistenza dipende da qualcuno di Radicalmente Altro.
Vorrei concludere questa mia modestissima riflessione con le parole di Sant’Agostino: “… Il mio cuore è inquieto finché non riposa in te …”
Nicola Incampo
Responsabile della CEB per l’IRC e per la pastorale scolastica