“Il campione analizzato non presenta superamenti dei valori ed è in linea con i risultati del precedente prelievo”. L’Arpab, su mandato dell’Azienda sanitaria di Potenza, ha analizzato le acque in uscita dal potabilizzatore di Masseria Romaniello attraverso un...
Uno dei personaggi biblici che mi ha sempre “impressionato” è Davide, Re di Israele intorno all’anno 1000 a.C.
Nella Sacra Scrittura si parla di lui nei due libri di Samuele, nei capitoli corrispondenti delle Cronache e nei titoli di alcuni Salmi.
David figlio di Jesse, ultimo di otto fratelli, è per ordine di Dio unto nascostamente re da Samuele dopo la perversione del re Saul.
Davide provvide a dare allo stato di Israele una capitale strategicamente sicura nella roccaforte cananea di Sion (Gerusalemme).
A Gerusalemme costruì, con la reggia, il nuovo tempio e vi collocò l’arca dell’Alleanza, un gesto cui fece seguito la radicale riforma del servizio liturgico affidato ai leviti.
Davide all’apice della gloria, è protagonista di un grande peccato.
Abbagliato dalla bellezza di Betsabea, moglie di un suo ufficiale, Urìa l’ittita, Davide convoca la donna e compie con lei un adulterio.
Ben presto però ella gli comunica di essere incinta.
A questo punto Davide compie un peccato ancora più grave: vorrebbe che Urìa, in licenza militare, andasse a casa, cos’ da avere con Betsabea rapporti che ne giustificassero la gravidanza.
Urìa, invece, rifiuta e Davide decide allora di eliminarlo. In che modo? Davide consegna ad Urìa, ignaro dl contenuto, una lettera con un ordine da recapitare al proprio comandante: in essa si raccomanda di esporre Urìa in prima fila, così da farlo morire in battaglia.
Il fatto puntualmente si verifica e per Davide è tutto risolto: può sposare Betsabea, senza scandali.
Ma di fronte a questo misfatto si leva forte la voce del profeta Natan.
Egli si presenta al re e abilmente gli presenta un racconto che induce inconsapevolmente ad accusare se stesso: “Il Signore mandò il profeta Natan a Davide e Natan andò da lui e gli disse: «Vi erano due uomini nella stessa città, uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva bestiame minuto e grosso in gran numero; ma il povero non aveva nulla, se non una sola pecorella piccina che egli aveva comprata e allevata; essa gli era cresciuta in casa insieme con i figli, mangiando il pane di lui, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno; era per lui come una figlia. Un ospite di passaggio arrivò dall’uomo ricco e questi, risparmiando di prendere dal suo bestiame minuto e grosso, per preparare una vivanda al viaggiatore che era capitato da lui portò via la pecora di quell’uomo povero e ne preparò una vivanda per l’ospite venuto da lui“. (2 Sam 12,1-4).
Davide, sentendo il racconto, reagisce emettendo una sentenza durissima : “.. Chi ha fatto questo merita la morte”.
Allora il profeta Natan dice a Davide: “Tu sei quell’uomo!”; è un duro rimprovero che denuncia non solo il suo adulterio, ma anche l’omicidio di Urìa.
Davide, ravvedendosi grazie alle parole del profeta, riconosce e confessa la sua colpa: “Ho peccato contro il Signore!”, quindi supplica il Signore Dio: “Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella il mio peccato” (Cfr. Sal 51,3).
Natan rispose quindi a Davide: “Il Signore ha perdonato il tuo peccato”.
E’ la stessa esperienza di misericordia che fa anche il figliol prodigo del Vangelo.
Egli dopo aver sperperato tutte le ricchezze, pentito decide di tornare da suo padre: “Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni.Partì e si incamminò verso suo padre.
Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa,perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. (Cfr. Luca 15,18-24).
Queste due esperienze testimoniano che nessuno è senza peccato, ma che anche nessun uomo è perduto: c’è speranza.
Dio infatti offre a tutti la possibilità di pentirsi e tornare a Lui per ricevere la Sua misericordia.
Nicola Incampo
Responsabile della CEB per l’IRC e per la pastorale scolastica