sabato, 23 Novembre 2024

Bardi e il ricordo a Balvano del terremoto ‘80

Balvano è il paese simbolo della devastazione del terremoto del 23 novembre 1980. Oggi, come ogni anno, la comunità si ferma per ricordare le vittime di quella tragica notte. La giornata di commemorazione inizia con una messa solenne nella chiesa ricostruita di Santa...

Il presidente Bardi all’evento “Panorama on the road” di Matera

L’intervista del direttore di Panorama, Maurizio Belpietro, al presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi, ha aperto oggi a Matera, nella cornice del Relais Alvino, “Panorama on the road”, l’evento itinerante promosso dallo storico settimanale per esaminare con...

«Dopotutto il vuoto è infinito e l’infinito è bello (…). In fondo anche il cielo è vuoto, ma straordinario. Forse arriverà anche per me la primavera, forse devo solo aspettare, forse quell’orrendo mostro si chiama cuore e forse dovrei farlo uscire dall’armadio più spesso. Ma se affido le mie paure al cuore a chi darò la mia speranza?»

È così che Linda Gurrado ci stupisce, ci scioglie, ci fa sentire il peso dolceamaro del compito di rispondere alla sua domanda: a chi darò la mia speranza? Ha 13 anni appena, la prima media e mezzo (metà è in quarantena), e si è scontrata con le paure di un’epidemia. Quindi si è messa a scrivere per mettere in ordine, lasciandoci attoniti e un po’ spaventati da cotanta introspezione. Ha scritto, in un foglio, tutto continuato, con pochi a capo e mille domande quello che chiamiamo un flusso di coscienza, come Chiara Valerio che ha incontrato in una diretta streaming per Amabili Confini, la rassegna Culturale, di spessa cultura, di Comunità. È entro questi confini amabili che si incontrano le scritture di chi scrive per mestiere, chi per passione, chi una volta sola perché gli è venuta ispirazione, chi ambisce ad essere scrittore per davvero.

Chiara e Linda, due nomi propri quasi sinonimi, con tutte le sfaccettature che i loro aggettivi hanno, e due flussi di coscienza messi sul foglio. A 13 anni e a poco più di 40.

Ho potuto partecipare anche io a questo incontro, con altra intenzione: quella di provare a segnare, insieme a Roberto Molinari, alcuni approfondimenti al libro che Chiara Valerio ha da poco pubblicato: IL CUORE NON SI VEDE.

Il perché della presenza di questa mia esperienza sul blog Il volo di un baco da seta, tra i suoi accenti consueti, è racchiusa nella parola ARCHETIPO, la mia per il libro di Chiara Valerio nel tema PAROLE di Amabili Confini 2020.

Da un’archeologa che discute di un libro pieno zeppo di miti e ricorsi mitologici tutti attendevano domande specifiche e calzanti sui contenuti dei miti raccontati. E infatti ho fatto una domanda sugli archetipi, che sono parenti, ma non gemelli. Quindi ho sorpreso un po’, ma forse non troppo…    

Per questa essenza allora l’esperienza di oggi si inserisce nel mio tema più consono: il passato presente, quello sempre a me caro che scovo e guardo ovunque: sotto i tappeti, in uno sguardo malinconico, in una nostalgia, in un pezzettino di carro della Bruna preso nel 2006 e reso reliquia nel mio studiolo, nelle pagine di un libro.

Non ne racconterò la trama, dovete comprarlo e leggerlo, ma il mio vissuto del libro. Che è la sua essenza, quando lo leggi e quando lo rileggi. Quando decidi di prestarlo o regalarlo a un’amica, a una persona speciale per condividerlo.

Il personaggio principale è Andrea, un professore e studioso di Antichità, che perde il cuore durante una notte. I polmoni in un’altra, il fegato in un’altra ancora, mentre dorme. Ma vive lo stesso, come prima con qualche piccola e irrilevante differenza.Il romanzo per sua bocca è un continuo rimando alla mitologia con la comparsa, quasi come un alone, degli archetipi e di quello che loro rappresentano per la nostra psiche. Certo il Mito è l’archetipo per eccellenza della Psicologia Analitica ed è stato sempre usato per semplificare in tutta loro complessità, meravigliosa e allucinante complessità, le interiorità Umane. Che sono troppe e difficilissime per menti e cuori fisici ma attingono al simbolo per diventare esemplari. E spiegano cose come valori e percezioni, dubbi e confusioni, origini e finitudini senza spiegarle, raccontandole. Allo stesso modo le parabole, in greco “comparazione e similitudine”, con due sacralità diverse, ma entrambe a meta sacrale. Santi ed eroi, Dio e divinità, mortali e mortali in concerto per un brano con due arrangiamenti diversi, e non crediate che questa sia blasfemia, è religione, dogma, fede nell’aperto più aperto di mente e cuore del cammino dell’uomo.

Mentre pensavo a come articolare questa domanda, si sono affacciate le persone colpite dalle amnesie, di quelle amnesie forti che ti spazzano i ricordi del tutto, e l’assurdità e impossibilità per chi ne è colpito di abitare un presente non vissuto appieno, perché mancante della memoria. Ovvero del passato. In una schizofrenia che ha moltissimi e tristissimi raccordi con il nostro quotidiano contemporaneo dove oggi è già quasi ieri, anzi no è del tutto ieri, e contemporaneamente è il domani che ormai sta bussando alla porta dalle sette di mattina di oggi

Andrea, che vive il terrore di perdere la memoria più di cuore, fegato e polmoni, si mette dunque ad andare in giro nel suo flusso di coscienza -che è il libro- per rimettere a galla il passato e sopravvivere mutilo del cuore? Cerca una possibilità nell’archetipo?

Forse si. Ma lui, Andrea, all’amica del cuore Angelica che, dopo un abbuffata di ricordi, gli chiede «che cosa ce ne facciamo di tutto questo?» risponde «quello che ce ne facciamo di tutto, niente», non prima però di aver ricordato in fila, come ologrammi del suo passato, Catullo, gli Smith e Angelica stessa. Coniuga con questo breve elenco il modo indicativo nei tre tempi del passato: il trapassato remoto (Catullo, poeta latino), il passato remoto (gli Smith, arcinota meteora musicale degli anno ’80) e il passato prossimo (Angelica era stata la sua fidanzata quando erano poco più che ragazzi).

Angelica, medico stimato e scienziata di razza, cerca le risposte alla strana malattia di Andrea in un vecchio e polveroso libro del 1500, che il suo professore le aveva donato il giorno della sua laurea, raro e segreto come il Santo Graal, in un rito di passaggio al futuro. Dal professore alla sua allieva più valente, passa la custodia del prezioso libro dell’arcano antico, dove giacciono le soluzioni-mito della medicina che non si risolve con la scienza.

Forse sì, Andrea sopravvive senza cuore, perché la sua mente è custode del passato, un passato così presente da essere il suo cuore pulsante. Irrora le sue vene e batte al ritmo dell’esperienza di tutti gli uomini della storia.

Nella vita di Andrea accanto all’amica Angelica c’è anche Carla, un sorta di amor cortese petrarchesco, e Laura che, nonostante il nome casualmente volto a Petrarca, è la sua compagna e convivente. Dopo aver fatto l’amore con lei, subito dopo, Andrea le racconta dei suoi studenti che mancano di contesto. Imparano, e poco, le nozioni. Si svilisce nel tempo la curiosità sussidiaria, quella contenuta in un libro dal nome altisonante, il sussidiario, che è più di un libro ma meno di tutti i libri che caricano gli zaini degli studenti attuali. Il sussidiario era ai nostri tempi di bambini un aiuto, un complemento alla curiosità che da sola nutriva l’apprendimento, in quello che Andrea definisce coazione a imparare.

Il livello degli studenti, Laura, «si è abbassato, che voleva dire avere le nozioni specifiche ma non il contesto, condizione che induceva sia negli studenti sia in lui che li ascoltava una sensazione di galleggiamento».

E allora Andrea è un professore che ha nella sua missione la paideia, l’educazione alla formazione umana, personale, continua e sempre perfettibile che forma l’individuo nella sua posizione armonica entro la comunità? È questo un senso di istruire e istruirsi che ha odore nostalgico al cospetto degli attuali metodi di insegnamento?

Andrea forse è la “buona scuola” quella che contestualizza; quella della socratica Maieutica, l’arte del generare (bellissima genesi ha la parola che deriva il suo significante da quello che oggi è l’Ostetricia, l’arte di far nascere i bambini).

È forse giusto per Andrea, il prof. Umanista a 360 gradi, il metodo dialogico della Maieutica -dicevo- che sosteneva la filosofia dell’educare, ovvero del consegnare il sapere consolidato ai giovani. Affinché lo criticassero e tenessero così il passato a loro consegnato sempre nell’esercizio del presente e nel seme del futuro. Rinnovandolo.

Magari Andrea vuole questo, vuole un essere umano che sappia che matematica e filosofia non sono due cose disgiunte, ma l’una l’estensione dell’altra. E bene lo racconta un libro di prossima pubblicazione per Altrimedia: La congettura dell’Anima. Lo spazio dell’anima, uno dei  grandi temi “geometrico-ontologici” (in realtà per rigore siamo nell’ambito della topologia, lo studio delle forme negli spazi multidimensionali) che regolano l’universo Universale, si risolve con un teorema matematico a sancire un binomio indissolubile tra fisico e metafisico. Del libro ne ho avuto un assaggio, tra due chiacchiere da tè, qualche giorno fa, perché questa è la fortuna di avere qualche editore per amico: conosci il futuro del presente nelle rotatorie di stampa. E puoi allora scoprire mondi inaspettati come quello in cui si dimostra un teorema che rende materiale l’anima, il nostro immateriale più puro, quello che vive oltre la vita. E saperlo non ti finisce il mondo in un limite chiuso da una curvatura unica formulata nel 1972 da Jeff  Cheeger e Detlef Gromoll e risolta da uno strano matematico russo, ma te la apre verso il tutto.

Platone ci avrebbe detto con una certa soddisfazione Ve l’avevo detto io che dovevamo discutere approfonditamente dell’ontologia della matematica; e a noi non resta che dirgli a capo chino Maestro facciamo ammenda e ci sentiamo vagamente in colpa per avere scisso il sapere in settori infinitesimali, perdendoci così il contesto. Matematica e Filosofia, Parole ed Etimologia, Psicologia e Mito, questo ci indica precisamente Andrea con il suo mettere sempre insieme tutto, anche nel libro che regala al piccolo Simone, anche nella riflessione che fa a un certo punto quando pensa che «avrebbe voluto che Simone facesse l’astronauta e portasse le storie che gli aveva raccontato tra le stelle». È questa la frase che libera il pensiero educativo di Andrea al pari dei pedagoghi greci.

Andrea Uomo Coraggioso, secondo l’etimologia del suo nome, ha un cognome molto simbolico: DILEVA, perché con una leva si può sollevare il mondo secondo Archimede e forse anche secondo Andrea che coraggiosamente prova nella vita a confondere le discipline rigide in un racconto continuo senza spazi, virgole, punti e capoversi, come fa l’autrice con la sua scrittura. E nel suo cognome la matematica si fa di nuovo filosofia.

D’altro canto è noto a tutti che la fosofia è l’amore per la sapienza e la filologia, che pure Andrea tanto amava, è amore per il pensiero, per la parola (intesa come pensiero che si concretizza), e PAROLE è il tema calzante di Amabili Confini 2020 che le riporta al centro, con il loro senso vero, con le sfumature dei sinonimi, con la loro esattezza.

Andrea vince il suo esperimento di passato nel cuore, perché vive senza il cuore fisico. E perciò ha una terribile (l’autrice forse scriverebbe fottuta, perché ha un fare spesso ruvido in mezzo ad alcuni accenti descrittivi molto pittorici) una terribile paura di perdere la memoria che gli ha sempre tenuto in vita le relazioni insieme al cuore che ora non si vede più. Le relazioni nel libro sono un perno assoluto avrei detto a un certo punto a Chiara Valerio, vissute con cuore e mente, ma anche con i polmoni, la cui assenza per un momento aveva preoccupato Andrea. Si chiede se sarebbe riuscito a fare l’amore con Laura senza polmoni, forse perché l’amore è un soffio vitale, una boccata d’aria ossigenata che ti deve entrare nel corpo e darti ebbrezza vivifica. L’autrice infatti nel libro declina l’amore in talmente tanti modi diversi da riuscire a renderlo visibile in purezza anche nel rapporto poco ortodosso tra l’adulto Gabriele e la giovanissima Carla, amore che ha una tenerezza impudica che un po’ ci fa rabbrividire, mentre ci scopriamo a sorridere di quel quadro di gentilezze fatto di carezze e gelati e bellezza bambina sfrontata esibita con poca coscienza.

«Stare con Gabriele era come essere soli, liberi. Gabriele la adorava. Non doveva fare niente per essere amata da Gabriele, doveva semplicemente essere».

A me ha fatto venire in mente, ovviamente, le facce dell’amore antico, quello amorale, cioè che non può essere oggetto del giudizio dei nostri criteri morali, quello dei nostri antenati più lontani. L’ho riletto da poco in un libro poco noto di Giovanni Bruno, Il sileno smarrito: qui la crisi creativa di Socrate durante la scrittura dell’Antigone è risolta dall’amore folgorante per un giovinetto casualmente alla sua porta. Egli è il salvatore.

Era consuetudine dei sapienti avere in affidamento giovinetti da istruire alla vita, con uno scambio simbiotico di freschezza ed esperienza, vitalità e sapere: questi legami (socialmente strutturati) erano la metafora perfetta per rappresentare amore e creatività, come nel libro di Giovanni Bruno, passato e futuro congiunti nel presente.

È dunque un’intesa metaforica dell’amore quella che pervade il libro Il Cuore non si vede di Chiara Valerio? Di un archetipo?

Ecco chiudo così, con la fine e l’inizio nella stessa domanda. Una domanda che è ricerca circolare in cui non vogliamo scovare altro che noi stessi, nella versione più profonda che ci sia, quella che più temiamo, quella che più ci urge.

E in fondo ha ragione Linda: «se affidiamo le nostre paure al cuore a chi daremo la nostra speranza?»

A mia madre, oggi è il suo compleanno.

Un anno dopo la sua scomparsa è nato Francesco, mio figlioccio e cavaliere, in una perfetta alternanza di vita e non vita, di cuore che mia madre ha lasciato a me, di anima che è materiale come una congettura che la mostra ai nostri occhi.

E io infatti la vedo.

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