"Dobbiamo tornare a guardare l'alba e il tramonto con gli occhi della meraviglia prima che con gli occhi del giudizio". Lo ha affermato la psicologa e psicoterapeuta rogersiana Maura Anfossi, riferendosi al colore arancione, questa sera nella città dei Sassi nella...
“Sua figlia inizierà sempre di più a non vedere bene di sera. E potrebbe andare molto peggio rispetto a questo episodio. Anzi, sicuramente andrà peggio. Con il tempo la visione periferica si assottiglierà, i colori saranno difficili da distinguere, non avrà più la percezione della profondità e del contrasto. Si ridurrà l’acuità visiva. Dopo il crepuscolo diventerà spiacevole per Livia uscire, fare le cose che fanno le ragazzine della sua età. Anche di giorno potrebbero esserci problemi, con le luci più forti. Potrebbe rimanere abbagliata. Per questo gli occhiali da sole sono obbligatori”.
Visione tubolare. Progressivo restringimento del campo visivo. Retinite pigmentosa.
Livia, quella che ha il sapore di una condanna, l’ha ereditata dal nonno. Come sostiene l’oculista che l’ha in cura, a lei è precoce. In un conto alla rovescia, molto poco rassicurante, che inizia da meno 4 (quando è piccola) e arriva a meno 8, la crescita di Livia va pericolosamente di pari passo con una malattia che incalza e non lascia scampo.
Il primo approccio concreto, durante una gara: stava correndo, vinse ma cadde rovinosamente al traguardo. Colpa del pietrisco sul campo, secondo il padre. In realtà era l’esordio della sua malattia.
Gli occhiali, alleati preziosi, dalle lenti spesse e pesanti, tanto che le asticelle le danno fastidio sulle orecchie, vorrebbe portarli il minimo indispensabile: solo quando li toglie si sente più bella, glielo dicono tutti. E scopre che senza occhiali i ragazzi la guardano e le ragazze la ammirano. Ha occhi bellissimi ma minacciati da un angolo cieco, un buio che la sera può diventare impenetrabile quando, piccole come spilli, le cose spariscono all’improvviso.
Si intitola Spilli (Einaudi) il bellissimo romanzo di Greta Olivo, il racconto in prima persona di una giovane donna che nel pieno di un’età già di per sé critica, l’adolescenza, si trova a misurarsi con i disturbi di una malattia che – lo sperava lei e lo speravano i suoi genitori – immaginava dovessero presentarsi più in là.
Le gare di atletica, l’occupazione del liceo, le feste, gli amici… è tutto una scoperta, ci sono tante prime volte ma c’è anche quella per lei più temuta: una sera, durante una festa, l’incapacità di vedere l’orecchino che le era caduto – il buio intorno nonostante le luci e una sensazione di totale impotenza – la costringe a prendere coscienza di essere arrivata a un punto di non ritorno.
“Nello stomaco sentii il leggero senso di vuoto che si prova quando ci si aspetta di salire l’ultimo gradino e invece poi le scale sono finite, l’ultimo gradino è già passato.”
Se crescere significa imparare ad accettare i propri punti deboli, la partita per Livia è un po’ piú dura che per gli altri. Per prepararla a ciò che le succederà – a ciò che le sta già succedendo – suo padre ha un’idea coraggiosa: ci sarà pure qualcuno che possa mostrarle i passi di questa danza nuova. Emilio è il tutor del centro che l’accoglie, e a un’occhiata distratta sembra vederci benissimo. Sarà lui a insegnarle a vivere senza guardare. Facendole capire che ogni ora è preziosa, la aiuta a muoversi in quel buio e ad ascoltare i suoni, ma soprattutto le scrolla di dosso la paura. Insieme a Livia scopriamo che da qualche parte c’è sempre un punto di luce. Basta trovarlo, prendere un bel respiro e fare il primo passo per raggiungerlo.
Quello di Greta Olivo, che vive e lavora a Roma dove è nata nel 1993, è un romanzo intenso e coraggioso, che emoziona e commuove.
Rossella Montemurro