sabato, 23 Novembre 2024

Le foglie cadute sono vite compiute, sono storie già scritte. Storie comuni, se si vuole, ma nello stesso tempo uniche, mai identiche o banali. Ogni foglia ha la sua forma, perfetta o irregolare, ogni foglia ha il suo tono di colore, nitido o sfumato, cangiante o netto, forte o delicato.
Ognuna ha vissuto e vive il tempo che le spetta, ciascuna assolve ad un preciso compito.
Le foglie, per alcuni, sono protagoniste effimere di un’epica silenziosa, per altri, a partire già da Omero, sono metafore perfette dell’umana esistenza.
Sono queste solo alcune delle riflessioni che scaturiscono dalla visione delle foto di Michele Morelli raccolte in questa mostra dal titolo “Si sta come d’autunno le foglie in città”.
 Attraverso l’uso di un linguaggio espressivo diretto e immediato, fatto di immagini semplici solo in apparenza ma in realtà ricercate, complesse e mai improvvisate o casuali che partono sempre e comunque da un’idea progettuale, di “costruzione” della visione secondo una precisa impostazione ed un vero e proprio “metodo di lavoro” che ne caratterizzano da sempre la personale cifra stilistica ed artistica, l’autore riesce nell’intento di avvicinare la sensibilità dell’osservatore alla propria, di condurre l’osservatore in prossimità del proprio mondo interiore.
Le fotografie esposte producono, in chi guarda, l’effetto di “rallentare” il tempo, premessa necessaria per chi voglia soffermarsi ad ascoltare con attenzione la “voce” delle foglie, a decifrare i messaggi che portano con sé e che rimandano inevitabilmente a tematiche esistenziali e di senso se è vero, come scriveva Tonino Guerra, che “vivere è un respiro che sta chiuso anche in una foglia”.
Inaugurazione venerdì 11 maggio 2018 alle ore 19,30 nello Studio Arti Visive in via delle Beccherie a Matera.
La mostra resterà aperta sino al 21 maggio 2018 tutti i giorni dalle ore 18.00 alle ore 21.00. 
NOTA CRITICA DI SALVATORE ABITA
Lo confesso: sono un po’ arrugginito. Ovvero appassito, anzitutto per ragioni anagrafiche e poi perché lontano da qualche tempo da quello che era stato il mio “albero”, cioè il lavoro di storico dell’arte nella struttura del Ministero dei Beni Culturali, trascorso per lungo tempo proprio nella città di Michele Morelli, Matera, oggi al centro di un interesse turistico che ne sta lentamente cambiando natura e aspetto, e non sempre in meglio, ahimè. Appassito  come una foglia, appunto, il tema conduttore di questa bella mostra di Morelli che , con la sensibilità che gli è propria, ”ritrae” le foglie cadute dagli alberi della sua città. Certo, l’evento capita nel periodo in cui la natura si presenta con la sua più smagliante livrea, e il tufo materano si veste di erbe spontanee che prepotentemente fioriscono fra i muri dei Sassi, mentre  le circostanti colline sono un tappeto verde di tenero grano. Forse l’autunno avrebbe conferito a questo suo lavoro quel velo di dolce malinconia che accompagna il declinare della bella stagione e l’arrivo di mesi più freddi, quando la luce si fa più tenue e ispira sentimenti di distacco  e di abbandono, come nella celeberrima poesia di Prevèrt sulle foglie morte. Ma va bene ugualmente. Si è presi dalla incredibile varietà di forme, colori di questi muti  testimoni del tempo, che vengono qui colti nella loro situazione reale, senza abbellimenti,  là dove sono caduti, ai piedi del loro albero, o portati dal vento un po’ più oltre , al bordo  di un marciapiede, su un selciato urbano, sul vialetto di un giardino privato. Nessuno fa caso a loro: le foglie vengono calpestate, spazzate via dai  netturbini, arrotate dalle auto, come relitti senza vita e senza dignità.
Michele Morelli le osserva, le studia, le fotografa, ne coglie l’essenza poetica, le differenti sagome, la gamma vastissima di sfumature cromatiche, come un pittore che usi la camera al posto della tavolozza. Ma senza nessuna concessione ad abusati, stucchevoli modelli di compiacimento autocelebrativo. In fondo, a pensarci bene, ci troviamo davanti ad una serie stupenda di “vanitates”naturali, dove il tema  è la caducità del tempo, come nei grandi quadri seicenteschi che ammonivano sulla fragilità dell’esistenza attraverso l’esibizione studiata di nature morte ricche di vegetali e frutta. Qui il tema antico viene rivissuto attraverso l’immediatezza della ripresa fotografica che fa da testimone al dramma dell’ineluttabile disfacimento che prima o poi coglie le specie viventi. Forme “minori” di poetici utilizzi delle foglie erano quelle che in passato, a cavallo fra l’Ottocento e il primo Novecento venivano compiuti da romantiche signorine gozzaniane che conservavano, fra le pagine di un libro amato, foglie appassite di particolare bellezza, spesso memorie di una vita non vissuta appieno. Oppure i famosi erbari realizzati con finalità didattiche e scientifiche dove le foglie venivano classificate e indicate col loro nome comune insieme a quello botanico in latino. Ma qui siamo in territori di diversa matrice culturale e soprattutto poetica: le foglie “morelliane” parlano un linguaggio attualissimo, pur attingendo ad un inconscio patrimonio del passato, e restituiscono l’immagine di un artista che, per un attimo, sulla scorta  della sua storia personale lascia che la sua camera fotografi, insieme alle foglie morte, un angolo segreto del suo cuore.
 
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