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Quando il gioco ti annienta: “Azzardo”, l’esordio di Alessandra Mureddu

“(…) È un amore malato quello che ho per il gioco, un amore che mi annulla e mi distrugge, lo sento come si sente un livido, una bruciatura, mi assottiglia la pelle, mi rende priva di volontà, di energie, di difese, più esposta a catene di eventi devastanti.”

Diretto come un pugno allo stomaco, tanto che giunti all’ultima pagina di Azzardo (Einaudi), il libro di esordio di Alessandra Mureddu, si rimane storditi. Disorientati, increduli dopo una storia molto forte: la lenta autodistruzione di una donna che non riesce a smettere di giocare. 250 euro prelevati al bancomat ogni volta prima di entrare nella sala, la compulsione, la frenesia di fronte alle slot, i piccoli riti e la capacità di mettere tra parentesi il mondo, la vita. Ogni cosa ruota attorno al gioco, i limiti si oltrepassano e questo, sì, è un azzardo. Ci si trascura e si trascurano i propri cari, si sta male, si diventa facili prede di uomini manipolatori.

Alessandra entra per la prima volta nella sala di piazza Cola di Rienzo perché vuole salvare il padre, avvocato e giocatore patologico: lei ha appena scoperto che gioca d’azzardo e vuole aiutarlo.

“Nella primavera del 2006 ho quarantuno anni e un corpo di marmo. Peso cinquantadue chili e vivo da sola. Il mio uomo la sera prima vuole un figlio, il mattino dopo se ne va e non torna più. Non ho tempo per soffrire, adotto un cane e un antidepressivo e decido che salverò mio padre.” Quella che però nasce come una buona azione diventa una condanna.

Alessandra si inoltra nell’universo delle sale da gioco: non ci sono finestre, non si distingue il giorno dalla notte, e neppure chi vince da chi perde, perché ogni vincita è destinata a finire nella fessura della slot: se ti è andata bene vorrai vincere di piú, se stai perdendo continuerai a giocare per rifarti. Cosí, la figlia che voleva salvare il padre si ritrova a dover salvare se stessa dalla malattia del gioco, che la trascina in un gorgo senza fine. Il conto si svuota, i capelli si imbiancano, il corpo sparisce sotto una larga tunica nera (“Nella primavera del 2015 mi sveglio che peso settantadue chili e sei”).

La dipendenza di cui parla la Mureddu – che passa dalle macchinette alle relazioni sessuali e affettive, al padre, al cane, e potrebbe estendersi a qualsiasi cosa – è il segno del nostro tempo. Azzardo è uno sfolgorante e feroce romanzo su ciò che abbiamo di piú umano: le nostre debolezze.

“Entro nella sala col passo trionfale di chi va a riprendersi il mondo. Le banconote da cinquanta, a colpi di un euro al secondo, spariscono nella fessura una via l’altra. Le conchiglie, quando escono, fanno pof, come lo schiocco di labbra di un pesce.”

Le relazioni, gli amici, i colleghi, la famiglia: tutto viene intaccato in nome di questa febbre morbosa. Gli ori di famiglia rubati ai genitori e svenduti nei “Compro oro” per una manciata di contanti da dilapidare in fretta; la sua stessa dignità persa tra le mani e le parole di un uomo, Simone, come lei giocatore compulsivo conosciuto nelle riunioni dei Giocatori Anonimi, un perfido manipolatore. La routine alle macchinette che si sgretola con il Covid, quando furono chiuse le sale: “Sono un feto, esco solo per comprare da mangiare e portare giù il cane. Per il resto galleggio. Non leggo, non scrivo, non guardo la tv. Entro nella chat che raccoglie i giocatori in recupero orfani delle stanze. C’è anche Simone. È il 10 marzo, ho smesso di giocare da quattro giorni”.

Ma le ricadute sono dietro l’angolo, come gli imprevisti, le grida d’aiuto soffocate a lungo…

È un memoir durissimo, Azzardo, scritto con una voce unica e tagliente.

Rossella Montemurro

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