“Ogni sport è un’ossessione, la nostra è l’acqua. L’acqua azzurra corretta dal cloro, un odore che non ci togliamo mai di dosso. Non troppo calda e non troppo fredda, non meno di 26 gradi e non più di 28. L’acqua della piscina e il mio liquido amniotico, la mia culla. (…)”
É una Federica Pellegrini come probabilmente non l’abbiamo mai vista quella che si racconta in Oro (La Nave di Teseo): si lascia andare all’introspezione, racconta le sue fragilità, svela cosa davvero c’era dietro ad alcuni atteggiamenti amplificati dalla stampa. La bulimia, i record del mondo, gli allenamenti duri che hanno preceduto ogni gara: “Sentirsi vivi quando i muscoli bruciano, godere nel sopportare un po’ più di quanto sia sopportabile per gli altri. È difficile spiegarlo ma per me il sacrificio è un modo di provare piacere. Mi piace proprio. (…)”
La fatica, la passione, il peso e la responsabilità di stare davanti ai riflettori dall’età di quattordici anni. Una pressione psicologica non indifferente, che si ripercuote sull’esito delle gare: le è capitato anche di fermarsi in vasca, durante una competizione, perché senza respiro. Nonostante tutto, la Divina ha portato a casa due medaglie olimpiche, diciannove medaglie mondiali, trentasette medaglie europee, centotrenta titoli italiani, undici record del mondo, cinque Olimpiadi con altrettante finali nei 200 stile libero (unica nel nuoto femminile mondiale). Fede è stata la duecentista più forte della storia del nuoto e uno dei più importanti atleti che l’Italia abbia mai avuto.
In Oro, scritto insieme a Elena Stancanelli (“Ti ho raccontato tutto, tutto quello che so di me, spero – sottolinea la Pellegrini – di non essermi dimenticata niente, e tu mi hai disegnata come solo uno spirito affine può fare. Mi hai capita in profondità, decifrando le sfumature dal volume della mia voce, a volte anche vedendo le mie lacrime”) troviamo il profilo sportivo ma soprattutto quello umano di una ragazza-fenomeno, amata e temuta: gli amori, le sconfitte e le vittorie, senza soluzione di continuità, in un percorso narrativo che si legge d’un fiato.
“Le gare non sono mai state una passeggiata per me, ma quella lotta all’ultimo respiro io la cercavo. Se capivo di dover entrare in acqua e combattere alla morte, l’adrenalina mi scorreva ed ero felice. La condizione ideale per gareggiare era sentirmi un animale braccato. La sera prima di una gara quasi non mangiavo. Era la tensione, certo, ma anche un modo di prepararsi all’assalto, come il lupo che prima di andare a caccia per affrontare la lotta digiuna, dimagrisce. La fame o l’inappetenza non erano solo forme nervose, ma manifestazioni di un atavico istinto al combattimento. All’inizio, quando ero solo una ragazzina, mi sentivo un vuoto dentro che riempivo con le vittorie, ma dopo un po’ non era più quello. Da un certo punto in poi l’ho fatto solo per me stessa.”
Federica Pellegrini è nata a Mirano (Venezia) il 5 agosto 1988. Si è ritirata nel 2021, a trentatré anni. Oggi è membro della Commissione atleti del CIO.
Rossella Montemurro