sabato, 30 Novembre 2024

Era il 18 marzo 2017 quando l’allora Ministro della Salute Beatrice Lorenzin annunciava un “passaggio storico per la Sanità italiana”: l’aggiornamento dopo 16 anni delle prestazioni che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di un ticket. Sono passati altri sette anni da allora ma questa rivoluzione è ancora di là da venire.

Dovrebbero entrare in vigore il prossimo 1 aprile 2024, sette anni dopo la loro pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, i “nuovi” Livelli essenziali di assistenza (LEA) che definiscono la totalità delle prestazioni specialistiche (visite, esami di laboratorio, esami strumentali) che devono essere assicurate in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.

Passano così a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), salvo il costo del ticket se dovuto, tutte quelle prestazioni aggiuntive che, pur entrate da tempo nella pratica clinica, dovevano essere pagate dai cittadini.

Tra questi esami rientrano nuovi test genetici ed altre indagini per le donne in gravidanza.

Il ritardo nell’introduzione di prestazioni specialistiche ritenute “essenziali” e perciò da garantire in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale è stato dovuto ai tempi lunghi per l’approvazione delle nuove tariffe da corrispondere agli enti eroganti (laboratori di analisi, centri radiologici e fisioterapici).

La definizione del nuovo Nomenclatore tariffario, frutto di un accordo tra Stato e regioni, è stato raggiunta, dopo una lunga trattativa, solo a giugno dello scorso anno con la previsione che entrasse in vigore il primo gennaio 2024, salvo poi uno slittamento di altri tre mesi.

Il provvedimento ha ricevuto critiche da molti enti di area sanitaria, sia pubblici che privati, oltre che da diverse regioni, compresa la Lombardia: per compensare la maggior spesa legata all’introduzione dei nuovi esami sono stati infatti previsti ribassi medi delle tariffe fino al 30% rispetto a quelle correnti, in alcuni casi giunti fino all’80%!

A pochi giorni dall’entrata in vigore del nuovo tariffario e quindi dei “nuovi” livelli essenziali di assistenza si rincorrono voci di un altro rinvio, forse in autunno, al termine cioè della stagione elettorale.

La ragione è facile da comprendere: i sistemi informatici tanto della medicina territoriale che della sanità ospedaliera e privata devono essere aggiornati per poter dialogare fra loro mentre le specifiche tecniche per l’adeguamento al nuovo prontuario sono state rese disponibili in alcune regioni, tra cui Puglia e Basilicata, solo pochi giorni fa.

I medici di famiglia hanno ricevuto intanto dalle ASL la comunicazione che “dal primo aprile 2024 le ricette, tanto dematerializzate che rosse, dovranno essere redatte dai medici utilizzando i nuovi codici LEA.

Tutte le ricette già prenotate fino al primo aprile con i vecchi codici e con le date di erogazioni successive al 1/04/2024 rimarranno valide fino alla data di erogazione e saranno pagate con le tariffe calcolate per i vecchi codici.  Viene inoltre specificato che “la validità delle ricette emesse dal 1/04/2024 è stabilita in 180 giorni dalla data di prescrizione. La ricetta conserva la propria validità fino alla data di effettiva erogazione se le prestazioni sono prenotate entro la scadenza di cui al primo periodo. Decorso tale periodo di validità le relative prescrizioni mediche dematerializzate sono invalidate automaticamente nell’ambito del Sistema Tessera Sanitaria.”

Stando così le cose è prevedibile che fra qualche giorno la gestione della sanità italiana ripiombi nel caos con i CUP regionali chiamati a reggere tutto il peso delle novità in arrivo.

Qualcuno spera in un pesce d’aprile (un ulteriore rinvio del provvedimento?) ma sempre che non si tratti di una burla.

Per la Fondazione Gimbe c’è però un tema ancora più serio da affrontare, quello della autonomia differenziata: leggiamo nell’ultimo report , pubblicato il 21 marzo 2024, che essa “porterà al collasso la sanità delle regioni del Sud, già in fondo a tutte le classifiche per cure assistenziali e aspettative di vita”.

Su questo argomento si è espresso anche Mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della CEI, rispondendo alle domande dei giornalisti durante la conferenza stampa di chiusura del Consiglio episcopale permanente, svoltosi nei giorni scorsi a Roma: “C’è preoccupazione e perplessità tra i vescovi per un allargamento delle differenze che possono far cadere in un particolarismo istituzionale” ed ha annunciato che ci sarà a breve un pronunciamento unitario dei Vescovi su questo tema.

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