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“Nella Stanza delle Lacrime: dove un uomo diventa Papa, da solo con Dio”, un approfondimento del prof. Incampo

È una stanza piccola, spoglia, quasi nascosta nei meandri del Palazzo Apostolico. Non c’è oro, né troni, né vetrate istoriate. Eppure, la Stanza delle Lacrime – così è chiamata da secoli – è forse uno dei luoghi più sacri e sconvolgenti dell’intera Città del Vaticano. È lì che, subito dopo l’elezione, il nuovo Papa viene condotto in silenzio. È lì che, per la prima volta, si ritrova completamente solo. Appena proclamato Pontefice, l’uomo che fino a pochi istanti prima era “solo” un cardinale, viene accompagnato da due maestri delle cerimonie nella piccola sala annessa alla Cappella Sistina. Le porte si chiudono dietro di lui. E inizia il momento più intimo, più umano e più spirituale di tutto il pontificato: quello in cui deve affrontare il peso del “sì” appena pronunciato. Il nome ufficiale della stanza è sacrestia del pianto, ma per tutti è la Stanza delle Lacrime. Secondo la tradizione, deve il suo nome alle lacrime versate da Pio XII, che nel 1939, una volta rimasto solo dopo l’elezione, sarebbe scoppiato in un pianto silenzioso. Ma sono tanti i papi che hanno ceduto all’emozione in quegli istanti sospesi. Si racconta che Giovanni Paolo I, il “Papa del sorriso”, pianse a lungo. Papa Giovanni Paolo II si inginocchiò in silenzio per diversi minuti, mentre fuori, il mondo intero attendeva con il fiato sospeso. Benedetto XVI rimase immobile, assorto, quasi stordito dalla gravità della sua nuova missione. E Papa Francesco? La sua frase è ormai entrata nella memoria collettiva come una battuta di spirito e un moto di verità allo stesso tempo: “Che Dio vi perdoni per quello che avete fatto.” Con queste parole avrebbe accolto la notizia della sua elezione e, secondo alcuni testimoni, le avrebbe ripetute poco dopo, da solo nella Stanza delle Lacrime, forse sorridendo, forse pregando. Ma che cosa si dice davvero un uomo, in quel momento? Che cosa accade nei pensieri e nel cuore di chi sta per diventare il capo spirituale di oltre un miliardo di cattolici nel mondo? La risposta certa non esiste. Nessuno può testimoniarlo, perché nessuno – tranne il Papa stesso – è ammesso in quella solitudine. È un momento che unisce il vertice della Chiesa alla più profonda umanità. È un incontro con Dio, ma anche con la propria coscienza. Non c’è tempo per il trionfo, per il potere, per la gloria. C’è solo la verità di un uomo davanti all’incarico più grande che possa esistere nella Chiesa. La stanza è semplice: tre vesti bianche di taglie diverse – preparate in anticipo – attendono che il nuovo Papa scelga quella adatta a sé. Accanto, una croce pettorale e la fascia papale. Poco più in là, lo specchio. E poi il silenzio. Alcuni si siedono. Altri si inginocchiano. C’è chi prega ad alta voce, chi rimane immobile, chi guarda se stesso per l’ultima volta “prima” nello specchio. È anche un momento di transizione psicologica: il cardinale con un nome proprio lascia spazio al Papa con il nome che ha scelto. È un momento di identità, di trasformazione. E, spesso, anche di paura. “Non è un potere che si riceve – spiegava un alto prelato – è un servizio che si accoglie. E il Papa lo sa. Lo sente tutto, fin da quell’istante.” Nessuna immagine ufficiale ha mai mostrato cosa accade nella Stanza delle Lacrime. Nessuna registrazione, nessuna telecamera. È un luogo sottratto alla spettacolarizzazione, e proprio per questo profondamente sacro. È la stanza dove il Papa nasce, nel segreto. Non con l’Habemus Papam, ma con un sussurro, con un respiro, con una preghiera che nessuno può sentire. Quando, poco dopo, le porte si riaprono e il nuovo Pontefice cammina verso la Loggia di San Pietro, il mondo vede il Papa. Ma ciò che non vedrà mai è l’attimo in cui, dentro quella stanza, l’uomo ha detto “sì”. Un “sì” solitario, sofferto, libero. Un “sì” pronunciato nel silenzio più profondo della Chiesa.

Nicola Incampo

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