“Ammazza che bona! Questa dove l’hai raccattata Mariù, all’asilo infantile?”
Chi parla, senza neanche salutarmi, senza un sorriso – giusto uno sguardo laido e una carezza sul capo come fossi un barboncino – è un altro vecchio della serie. Sicuro di sé, strafottente, forse un produttore,
Mario ride, io anche, ma a denti stretti, così, tanto per darmi un contegno, tanto per non piangere. In realtà vorrei pugnalarlo alla gola, quel tizio, vorrei vedere il suo sangue che cola dalla giugulare sulla camicia di lino estiva.
Ma come ti permetti stronzo? E tu Mario perché non gli rispondi? Perché non mi proteggi? Penso, ma non emetto una sillaba perché mi vergogno e mi viene un nodo alla gola.”
L’incipit è folgorante e rende l’idea della cifra stilistica di Chiara Rapaccini che in Mio amato Belzebù. L’amara dolce vita con Monicelli e compagnia (Giunti) ha ripercorso la sua storia con il grande regista. Troppo vecchio lui, troppo giovane lei “anche se dicono tutti che siamo belli”. Le cene con Moravia e Suso Cecchi D’Amico, i soggiorni a New York ospiti di Ottavio e Rosita Missoni, gli aneddoti di alcune riprese dei film di Monicelli… Come un flusso di coscienza, tra passato remoto e passato prossimo che si intrecciano senza soluzione di continuità, Mio amato Belzebù è un libro brillante, narrato con sana leggerezza e pungente ironia.
Chiara aveva dentro il fuoco sacro della pittura e del teatro. Quando il maestro andò a Firenze nell’inverno del 1975 a lei, hippie fiorentina, proprio non interessava: voleva disegnare, voleva dedicarsi all’illustrazione di libri. Il caso ci mise lo zampino, fu reclutata da Carlo Vanzina, allora giovane assistente alla regia, tra le comparse di “Amici miei”. Così, tra una scena e l’altra, conobbe Tognazzi, Blier, Noiret, Moschin. E il regista, un tipo burbero e sbrigativo, un po’ nazista nei modi, che aveva quarant’anni più di lei e uno sguardo magnetico. Si incontrano sul set, poi la invita a fare una passeggiata e infine a cena, e quando l’onda barbarica dei cinematografari romani riparte, qualcosa in lei è irrimediabilmente cambiato. Inizia a frequentare il mondo di Monicelli – intellettuali, registi, attori e sceneggiatori, tutta gente molto più grande di lei e alla quale è tendenzialmente insofferente, spesso vorrebbe sottrarsi a quelle cene nelle quali si sente spesso inadeguata, a cominciare dai dubbi sull’abbigliamento: vestirsi come una ragazza della sua età o uniformarsi agli altri? Genio e sregolatezza, cattiverie e colpi bassi, arroganza e amor proprio.
In un memoir avvincente e colorato, Chiara Rapaccini ci accompagna in una storia piena di vita, in un mondo spettacolare e coinvolgente svelandone retroscena e dietro le quinte.
L’autrice, in arte RAP, è nata a Firenze ma vive a Roma, dove insegna Illustrazione per bambini presso l’Istituto Europeo di Design. È pittrice, scultrice, designer, illustratrice e scrittrice. Sue mostre personali sono state allestite in tutto il mondo. Il suo progetto Mario Monicelli e RAP, 100 anni di cinema è stato presentato a New York, Buenos Aires, Porto, Cuba e, in Italia, a Napoli e Venezia. Nel 2019 ha realizzato per Rai Storia il documentario Amori di latta – incontri ravvicinati con i teenagers, regia di Graziano Conversano. È autrice delle vignette satiriche Amori sfigati, diventate un fenomeno web. Ha scritto e illustrato decine di libri per ragazzi e i romanzi per adulti La bambina buona (Sonzogno, 2011), Baires (Fazi, 2016), Rossa (La Nave di Teseo, 2019), Amori sfigati (De Agostini, 2020).
Rossella Montemurro