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“L’ultimo dei Giusti” di André Schwarz-Bart in un’analisi del prof. Incampo

Nel 1959 uno scrittore francese, un ebreo di origine polacca, André Schwarz-Bart, figlio di sopravvissuti e resistente durante la guerra, pubblicò un romanzo, L’ultimo dei Giusti, che ebbe vasta risonanza e vinse nello stesso 1959 il prestigioso Premio Goncourt.

Il libro partiva dal XII secolo e dal succedersi nelle generazioni dei Giusti, i 36 Giusti che consentono al mondo di sopravvivere secondo una tradizione talmudica e cabbalistica, per diventare poi nel corso del romanzo la storia di un giovane ebreo durante la Shoah.

Il libro suscitò ovunque, anche in Italia, attenzione ed emozione, oltre che ad una vasta polemica che coinvolse tanto il mondo ebraico che quello non ebraico, sulla caratterizzazione dell’ebreo come vittima sofferente che il romanzo trasmetteva.

Se un uomo soffre da solo, è chiaro che la sua pena resta solo per lui. Ma se un altro lo guarda e dice: “Quanto soffri, fratello?”, prende il male dell’amico negli occhi suoi. E se è cieco, lo prende con gli orecchi e se è sordo, con le mani.

E se l’altro è lontano e non lo può vedere, sentire, toccare, allora può forse indovinarlo.

Ecco quello che fa il giusto: egli indovina tutto il male che esiste sulla terra e se lo prende in cuore”

Il libro di Schwarz-Bart fu un libro molto amato da Elie Wiesel e da Jules Isaac, e considerato da Gershom Scholem come il libro che aveva diretto l’attenzione generale sulla leggenda ebraica dei Trentasei Giusti.

Ma, badate bene, nella leggenda si parla di trentasei ebrei giusti che per ogni generazione salvano il mondo, mentre nel caso di Yad Vashem si tratta di Giusti non ebrei che salvano non il mondo ma gli ebrei. Nei testi ebraici, la salvezza data dai Giusti non era riservata solo agli ebrei, ma all’intera umanità. I trentasei Giusti dei testi ebraici erano Giusti dell’umanità.

È inutile dire che il simbolo che regge la trama del romanzo è comunque profondamento biblico, infatti è una figura misteriosa cantata da Isaia:

“Tuttavia erano le nostre malattie che egli portava,
erano i nostri dolori quelli di cui si era caricato;
ma noi lo ritenevamo colpito,
percosso da Dio e umiliato!
Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni,
stroncato a causa delle nostre iniquità;
il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui
e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti.”

Nel Nuovo Testamento rappresenta Gesù sofferente come colui che assume su di sé tutto il male del mondo per annientarlo sulla croce.

C’è però una partecipazione di Cristo.

È quella di non fuggire dal dolore del fratello, ma di prenderlo nelle mani, negli occhi, negli orecchi e soprattutto nel cuore.

Nicola Incampo

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