Pronti a lasciarvi stregare dalla saga criminale dei Wadia?
L’età del male (Einaudi, traduzione di Alfredo Colitto) di Deepti Kapoor secondo il Guardian è la riposta indiana a Il Padrino. Per il Washington Post, chiunque si appresti a leggerlo sarà posto di fronte a “un dilemma orribile: divorarlo o centellinare i capitoli per farlo durare?”
È il primo di una trilogia molto attesa venduta in 35 paesi, dopo un’asta definita tra le più contese di sempre nel campo dell’editoria e presto diventerà una serie TV.
Fin dall’incipit ci si accorge che è impossibile rimanere indifferenti: siamo a Delhi, nel 2004; sono le tre del mattino quando cinque vagabondi che dormono sul marciapiede vengono travolti e uccisi da un 22enne a bordo di una Mercedes nera. Il ragazzo era stato appena assunto da Gautam Rathore, primo e unico figlio di un membro del parlamento. Loro non c’entrano nulla con l’incidente che, comunque, ha un forte clamore mediatico: tra le persone uccise c’è anche una giovane ragazza incinta. Ajay – di origini poverissime, autista, tuttofare, guardia del corpo e, all’occorrenza, vittima sacrificale – non dice nulla agli agenti, per lui si spalancano le porte del carcere in un crescendo splatter nel quale da vittima di un’aggressione si trasforma in spietato carnefice. E, rinchiuso in una cella di isolamento, viene convocato dal direttore del carcere che gli porge le sue scuse per non aver capito prima che fosse un uomo dei Wadia.
Le pagine ci riportano a 13 anni prima, quando Ajay, poco più di un bambino, si scontra con una realtà crudele addossandosi suo malgrado la responsabilità della madre e della sorella dopo che il padre è morto per le conseguenze di un’aggressione. Ad Ajay era stata affidata una pecora, lui doveva stare attento affinchè non sconfinasse nel terreno dei vicini per mangiare l’erba. Una distrazione del piccolo diede però inizio a una serie di eventi inimmaginabili. Tornerà spesso, tra le pagine, l’ipotesi di un corso degli eventi alternativo. Un “E se…” che aleggia costante e si scontra con una realtà che, invece, è spesso cupa e dolorosa, fatta di disillusioni e autodistruzione.
Le descrizioni sono nitide, come i dialoghi, asciutte eppure taglienti. Il ritmo è sempre sostenuto, nonostante le oltre 600 pagine non c’è mai un momento in cui l’attenzione del lettore viene meno. Ci sono scene crude, c’è tanta violenza ma in fondo è questo il mondo dei Wadia, al quale Ajay viene in un certo senso aggregato. Amati da alcuni, odiati da molti, temuti da tutti. I Wadia controllano trasporti, miniere, zuccherifici. Ma è con la speculazione edilizia che stanno consolidando il loro impero. Ora però le proteste di chi viene sfrattato montano e il “Delhi Post” sta indagando per fare esplodere lo scandalo. Neda, giornalista carismatica e determinata è riuscita a insinuarsi nella cerchia di Sunny Wadia, il rampollo destinato a prendere in mano le redini della famiglia. Sunny è facile preda del fascino femminile e la stessa Neda, in apparenza tutta d’un pezzo, verrà trascinata in una storia più grande di sè.
“Le catene dell’esistenza devono essere abbastanza fragili, per poterle spezzare. Ma abbastanza forti da portarti avanti.”
Ogni personaggio ha una sua identità marcata e ciascuno ha un ruolo in un continuum tra passato e presente che sembra un mosaico pronto a definirsi tassello dopo tassello. La forte carica di violenza delle prime pagine lascia pian piano spazio a momenti introspettivi,
Suggestive le ambientazioni – dai villaggi immersi nella foschia ai piedi dell’Himalaya all’energia frenetica e palpitante di Delhi – di un romanzo imperdibile.
Rossella Montemurro