La Fondazione Francesca Divella, in collaborazione con il Comune di Matera e l'associazione "Una stanza per un sorriso - Sostiene i pazienti oncologici", è lieta di annunciare la "Giornata della prevenzione senologica e ginecologica", un evento dedicato alla salute e...
Oggi vorrei proporre alla vostra attenzione una favola russa.
Questa favola è citata da Aleksandr Sergeevič Puškin nel famosissimo romanzo La figlia del capitano.
Puškin nacque a Mosca il 6 giugno 1799. Il padre era un uomo dedito alla mondanità e molto avaro. La storia ci dice che era un lettore accanito.
Dopo aver completato i suoi studi, senza tuttavia eccellervi, nel 1817, Puškin diventò funzionario del Ministero degli Esteri.
A San Pietroburgo, dove risiedeva in quegli anni, condusse una vita all’insegna del piacere, primo fra tutti quello per le donne.
Nel 1836 scrisse il famoso romanzo La figlia del capitano e in questo romanzo è citata la favola L’aquila e il corvo.
La favola è questa: “Una volta un’aquila, incontrando sulla sua strada un corvo gli chiese: “Ascolta, Corvo, noi insieme a voi proveniamo dello stesso ordinamento, dalla stessa tribù. Ma dimmi, perché voi, che siete semplici uccelli vivete per trecento anni mentre noi soltanto trent’anni?”
Il corvo gli ha risposto: “Voi le prede le cercate mentre sono ancora vive, bevete il loro sangue mentre è ancora caldo, invece noi mangiamo le prede morte.”
Per prendere le prede l’aquila e il corvo quella volta andarono insieme.
Così, volando, notarono sulla steppa un cavallo che era morto da qualche tempo.
Il corvo cominciò subito a mangiare.
L’aquila, pensando di prolungare la sua vita, si avvicinò e provò a mangiare, ma non riuscì. Partendo e lasciando il corvo solo a mangiare il suo pasto preferito, l’aquila gli disse: “No, fratello corvo, piuttosto che nutrirsi trecento anni di carogne, meglio è bere una sola volta il sangue vivo, e poi sia quel che Dio vuole!”
Questa favola ci fa capire che ci sono lunghe esistenze che si cibano solo di carogne, cioè di piaceri inesistenti, di scarti, di vergogna.
E ci sono vite che vissute solo di pochi anni, ma carichi di bellezza, di creatività, di luce.
Penso che quando l’autore scrisse questa bella favola sicuramente aveva letto quanto scritto nel libro della Sapienza: “Il giusto, anche se muore prematuramente, si troverà in un luogo di riposo. Vecchiaia veneranda non è quella longeva, né si misura con il numero degli anni; ma canizie per gli uomini è la saggezza, età senile è una vita senza macchia. Divenuto caro a Dio, fu amato da lui e, poiché viveva fra peccatori, fu portato altrove. Fu rapito, perché la malvagità non alterasse la sua intelligenza o l’inganno non seducesse la sua anima, poiché il fascino delle cose frivole oscura tutto ciò che è bello e il turbine della passione perverte un animo senza malizia. Giunto in breve alla perfezione, ha conseguito la pienezza di tutta una vita.”
Tutto questo mi fa venire in mente quanto scritto nel Canto degli uccelli poema persiano dove si immagina il volo affascinante di un uccello verso il sole e verso il mistero di Dio.
Pochi uccelli riescono a volare fin lassù per lasciarsi incenerire da quel calore.
Ma una voce risuona: “Non è forse meglio bruciare nella ricerca di Dio che vivere nell’immondizia?”
Nicola Incampo
Responsabile della CEB per l’IRC e per la pastorale scolastica