La realtà e la verità non vanno nella stessa direzione: ne prende atto Monica, un’adolescente borghese di un’imprecisata città del Sud, appena diventata donna.
Lei, insieme a Maria Grazia, una giovane e promettente giornalista, è la protagonista del nuovo romanzo di Anna Di Cagno L’anno della garuffa (Arkadia).
Una storia di formazione, ambientata nel 1978 all’indomani del rapimento di Aldo Moro. Mentre tutta Italia è con il fiato sospeso, per un gruppo ristretto di persone un altro rapimento sconvolge le loro vite. È quello di un bambino di dieci anni, Luca Barnaba ha solo dieci anni, figlio di un facoltoso e chiacchierato imprenditore. In un entourage ambiguo e discutibile, tra famiglie nelle quali gli adulti assumono droghe che promettono la felicità e vivono con autisti e personale di servizio, in un luogo in cui il contrabbando di sigarette non è considerato un reato, Monica è una ragazzina ribelle, amica di Dalila, la sorella del bambino rapito. Con il suo sguardo disincantato si insinua nel mondo incomprensibile degli adulti che la circondano, gente a cui non mancano beni materiali ma priva di valori. Monica conosce Maria Grazia quando la giornalista incontra la mamma di Luca per intervistarla e, da allora, tra le due ci sarà una sorta di sintonia che le porterà a cercarsi e confidarsi. Monica si sente importante a passare informazioni e, per Maria Grazia la ragazza è un gancio insostituibile verso quel mondo così denso di zone d’ombra.
Tra la prima persona di Monica e una terza persona che di volta in volta offre uno sguardo d’insieme di una vicenda intricata e intrigante, L’anno della garuffa, grazie allo stile ricercato dell’Autrice, avvince il lettore.
Monica assiste a una strana inversione delle leggi morali che dovrebbero regolare la vita degli adulti. Se conoscesse il biliardo all’italiana la definirebbe una garuffa – uno dei tiri più difficili del biliardo all’italiana, consiste nel riuscire a imprimere un effetto contro la biglia battente in modo da deviare il suo impatto con la sponda corta – ma lei ha tredici anni e può solo guardare per cercare di capire cosa sta accadendo.
Con una ricostruzione dettagliata della fine degli anni Settanta e descrizioni particolarmente evocative, è un romanzo che ci riporta a una stagione intensa della storia italiana, una storia che rilegge il caso Moro come metafora della perdita della fiducia nel “mondo dei grandi” e scava nell’anima pulp della generazione a cavallo tra la guerra e il boom economico.
“Siamo la periferia di un regno, non abbiamo mai avuto corti e palazzi reali, un’aristocrazia e un’intellighenzia.”
Come è nato “L’anno della garuffa”?
“Non so identificare un momento preciso in cui è nata l’idea di scrivere L’anno della garuffa. Ma so perfettamente che volevo raccontare quel Sud “minore” in cui gli Anni Piombo non sono mai arrivati realmente. Mi sono trasferita a Torino nel 1988 e la memoria del Terrorismo era ancora vivida, tra i miei compagni dell’università. Lì ho capito di aver vissuto un’infanzia diversa.”
Quanto c’è di te in Maria Grazia e Monica?
“Come Monica ero una ragazzina molto curiosa e attenta al mondo degli adulti, diversamente da Maria Grazia ho avuto una vita professionale costellata di donne meravigliose che mi hanno insegnato tanto e rispettato. Quindi sì, un po’ assomiglio a entrambe, per affinità e differenze.”
Il 1978, anno in cui è ambientato il romanzo, è descritto in maniera minuziosa. Hai un legame particolare con questo periodo?
“Sì. Era l’anno in cui ho finito le elementari e ho dovuto salutare la mia meravigliosa maestra. È stata lei a lasciare in me la traccia indelebile del rapimento di Aldo Moro, perché ogni sabato portava in classe il quotidiano della città e ci leggeva un articolo sul quale, poi, dovevamo scrivere un tema. A Bari, città che non nomino mai, ma in cui è ambientato il romanzo, il caso Moro era molto sentito, perché pugliese d’origine e famoso docente universitario alla facoltà di Giurisprudenza per la generazione dei miei genitori.”
Per il titolo hai preso in prestito il nome di uno dei tiri del biliardo, la garuffa. È un gioco che ti appassiona?
“Non sono una giocatrice di biliardo, ma mi affascina la sua fisica. È il gioco più frequentemente usato per spiegare il principio di causalità Ma come tutti i giochi prevede dei tiri a effetto che sovvertono le leggi della fisica. E questo mi affascina come metafora della vita.”
C’è una particolare tipologia di lettori che vorresti leggesse L’anno della garuffa?
“I lettori sono tutti preziosi e, a ora, ho avuto apprezzamenti sia da uomini che da donne. So che è più facile per un/una over 50 leggere L’anno della garuffa, perché conserva la memoria di quel periodo, ma spero arrivi anche a quelli più giovani che vogliono capirne qualcosa di più. Sono stati anni drammatici e importanti per la storia del nostro Paese, ricordarli può aiutare a capire un po’ meglio il mondo in cui viviamo oggi.”
Anna Di Cagno è nata a Bari e vive a Milano. Ha studiato Filosofia a Torino ed è diventata giornalista professionista nella redazione di “Cosmopolitan” nel 1994. Ha lavorato a lungo con magazine femminili occupandosi di tematiche di costume, cultura e attualità e ha collaborato con diverse agenzie di comunicazione. Sei anni fa ha fondato ilblogdimollybrown.com, sito che si occupa di cultura in maniera “spettinata”. Per Morellini Editore ha curato le antologie Lettere alla madre e Lettere al padre e partecipato alla raccolta di racconti Tra uomini e dei. Storie di rinascita e riscatto attraverso lo sport. Per Cairo ha scritto Lettere d’amore per uomini imperfetti, non-romanzo a quattro firme realizzato con Paola Mammini, Maria Di Biase ed Elena Mearini. Nel 2021 ha pubblicato Gala Éluard Dalì. Per interposti uomini, biografia romanzata della collana Femminile singolare che dirige insieme a Sara Rattaro. Molti suoi racconti sono presenti in diverse pubblicazioni.
Rossella Montemurro