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La speranza, una riflessione del prof. Incampo: “Ogni essere umano, anche nei momenti più bui, è degno d’amore”

Non molto tempo fa ho conosciuto, durante una lezione di catechismo, un uomo di nome Marco. Marco era un detenuto, ma il suo volto non tradiva solo la fatica dei suoi giorni in carcere, ma anche la pesantezza di una vita segnata da errori e scelte sbagliate. Da giovane, Marco aveva sognato di fare cose grandi, di costruirsi un futuro, ma aveva finito per perdersi nei vicoli bui della vita, un passo dopo l’altro. Ora, rinchiuso tra le mura di una prigione, il tempo sembrava essere l’unica cosa che non gli sfuggiva più. Ogni giorno trascorreva lo stesso, tra il rumore delle sbarre e i pensieri che gli giravano in testa. Si chiedeva spesso: “Cosa ho fatto della mia vita? Dio mi guarda ancora?” La solitudine, la vergogna e il rimorso lo perseguitavano, come ombre che non lo lasciavano mai. Le sue mani, ormai segnate dal tempo trascorso dietro le sbarre, tremavano a volte quando pensava al passato, e al futuro che sembrava ormai un sogno irraggiungibile. Poi, un giorno, una lezione speciale arrivò nel carcere. Non si trattava di una lezione comune. Era una lezione di vita, portata in un modo misterioso, sembrava avere qualcosa di diverso. Marco non vedeva in me un insegnante come gli altri. Per lui ero una persona che, con parole semplici ma potenti, riuscivo a entrare nei cuori più duri, anche nel su. Quel giorno, Marco era stanco, ma la curiosità lo spinse a partecipare. Durante la lezione, parlai di speranza, di redenzione, di come ogni essere umano, anche nei momenti più bui, fosse degno d’amore. Parlai di Dio, di un amore che non giudica, ma che accoglie. Parlai di Gesù, un uomo che aveva amato e perdonato senza condizioni. Quando la lezione finì, Marco si trovò sopraffatto da una sensazione che non provava da anni: la speranza. Era come se quella speranza fosse una luce che illuminava un angolo buio della sua anima. Alla fine della lezione, Marco si avvicinò timidamente. Gli occhi di Marco erano pieni di lacrime, ma anche di una domanda che gli bruciava dentro: “Ma Gesù mi vuole bene davvero?” La voce gli tremava, e le parole sembravano faticare a uscire, come se avesse paura di essere respinto anche da chi non lo conosceva davvero. Lo guardai con un sorriso che parlava di comprensione e accoglienza. “Gesù ti vuole bene, Marco”, gli dissi con calma. “Non importa cosa tu abbia fatto, non importa quanto tu ti senta lontano. Il Suo amore è sempre più grande di ogni errore. Non sei mai troppo lontano da Lui. Non sei mai troppo lontano per essere amato.” Marco, per la prima volta, si sentì come se una parte di lui fosse stata finalmente accolta, finalmente perdonata. Un peso che non sapeva di portare si sollevò dal suo cuore. Quel giorno, per lui, fu un nuovo inizio. Non sapeva cosa sarebbe accaduto nel futuro, ma sapeva che avrebbe cercato di camminare su quella strada di speranza. E ogni volta che i dubbi tornavano, ogni volta che la solitudine lo colpiva, si ricordava di quel momento e di quelle parole: “Gesù ti vuole bene, Marco. Sempre.” E così, anche tra le mura fredde del carcere, Marco trovò una luce che non avrebbe mai immaginato. E quella luce, anche nelle sue notti più scure, non si sarebbe mai più spenta.

Nicola Incampo

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