“Vergogna, questa è l’unica dolorosa emozione che riesco a percepire, il resto è confusione. Mi vergogno della mia pancia, che Pietro possa guardarla e immaginare che dentro di me ho suo figlio, mi vergogno di essere accanto ad un altro uomo, di far finte di essere una coppia di futuri genitori, mi vergogno di tutto ciò che non ho avuto, di mia madre che mi ha abbandonata, che mi ha tolto il privilegio di essere figlia e che è causa della mia difficoltà a pensarmi madre, mi vergogno del mio essere, di quello che ho fatto e che mi circonda.
È una vergogna antica che parte da lontano di cui non ho responsabilità ma che si è infiltrata nelle membra e non mi lascia respirare.”
Madda – “Maddalena, il nome di una peccatrice che si redime e che Gesù salva, il nome di una che volevano lapidare. Potevo avere un nome diverso? Ho abbreviato il nome in Madda per camuffare le lacrime, le umiliazioni, la solitudine che evoca, ma l’origine è quella” – è cresciuta in un istituto, in una Bologna rarefatta, e quando una coppia avrebbe voluto adottarla è riuscita a essere così indisponente da farla desistere. Senza un briciolo di autostima, arresa di fronte a una quotidianità che sembra non offrile un riscatto, Madda si infatua di uomini sbagliati quasi a voler inconsciamente evitare di darsi una chance. Quando rimane incinta, nonostante sia consapevole che rimarrà sola, decide di tenere il bambino. Sempre caustica con gli altri e spesso autoassolutoria con se stessa, si accolla questa enorme responsabilità, certa che un figlio equivalga per lei a un nuovo inizio.
La prima immagine di lei (Gelsorosso) il terzo romanzo della scrittrice e docente materana Caterina Ambrosecchia, è costellato da figure femminili che difficilmente si dimenticano. Se nella prima parte l’io narrante è Madda, con la sua ambigua irruenza, l’autolesionismo e una debolezza di fondo che non le permettono di realizzarsi, nella seconda subentra Marta, sua figlia.
“La mia infanzia disordinata, priva di regole: sonno, alimentazione, giochi, orari, tutto caotico, estemporaneo, improvvisato. Pasti consumati dovunque e fuori tempo, nell’assenza di vincoli e limiti. Mi capitava di appisolarmi sulle sedie di locali pubblici, quando le serate si trasformavano in nottate e il sonno della mia infanzia mi faceva inesorabilmente crollare. (…)”
Come ha affermato a Matera nella presentazione del romanzo lo psicoterapeuta Piero Caforio, si tratta di “una lettura psicagogica, è una di quelle cose che provocano andando a sviluppare la propria anima, ci consentono di aprire uno spiraglio e in quello spiraglio andare a mettere qualcosa. Questo è un libro che ci impegna a sentire con il cuore e pensare con la mente.”
All’Autrice va senza dubbio il merito di essersi perfettamente calata nella parte ora di Madda ora di Marta, conferendo alle voci di ciascuna un’autenticità marcata, grazie sicuramente alla sua empatia e all’approccio con i suoi giovani studenti: “Nella mia carriera scolastica ho incontrato ragazzi e ragazze con racconti familiari difficili. Per qualche motivo alcuni di loro hanno deciso di condividerli con me; le loro storie mi hanno arricchita sia umanamente che professionalmente e, con il passare del tempo, si sono sedimentate nella mia memoria, offrendomi, al momento opportuno, la scintilla da cui partire per narrare la vicenda di Madda e di Marta.”
Introspettivo, a tratti duro, con uno stile ricercato: assolutamente da leggere.
Caterina Ambrosecchia è nata a Matera, dove vive e insegna Scienze umane e sociali e Psicologia.
Laureata in Filosofia presso l’Università degli Studi di Bari, ha pubblicato Sedano 40, una raccolta di aforismi e brevi racconti, e Ibraforever. Manuale semiserio di un’amante del calcio, un libro sul mondo del calcio e della scuola.
Con la Gelsorosso ha pubblicato: La donna giusta (2017) e Sette secondi (2018).
Rossella Montemurro