“Di tappa in tappa, varcando una porta dopo l’altra – a ogni porta ti dici: ora ci siamo… – prova a chiedere dove si trovino, questi inafferrabili Balcani, il più delle volte ti risponderanno semplicemente indicando in direzione del paese, della porta seguente. Fino a quando non ti indicheranno in direzione delle terre che hai appena abbandonato – o non comprenderanno più la domanda”. Del resto: dove iniziano? Dove finiscono i Balcani? Anche se da qualche tempo cominciano a diventare di moda, lo stanno diventando, come forse è proprio delle mode, in una maniera superficiale, parziale, che non rende giustizia al loro originale intrico di bellezza e di tragicissima storia. Il senso di questo avvitamento, che sia riferito alla bellezza o alla violenza e al dolore, scaturisce originariamente da una realtà sempre pensata, agita in termini di confine, di frontiera: non solo fra popoli o presunti tali, o fra lingue, ma anche tra follia e normalità, o persino fra maschile e femminile, fra uomini e animali, et cetera… Frontiera e confine non sono sempre sinonimi l’uno dell’altra. Nel contesto balcanico in particolare, la frontiera è ben più che un confine, una linea, un limite: è uno spazio disteso, fluido, dai contorni sfumati, in cui coabitano e si mescolano genti di diversi paesi. Una frontiera spaesata come il titolo, appunto, La frontiera spaesata (Exòroma, con mappe e fotografie all’interno, in uscita il 2 luglio), del libro di Giuseppe A. Samonà, nel senso di un paese che è molti paesi, un caleidoscopio di lingue e culture. Una frontiera insomma che non si lascia afferrare, che si sposta sempre e lascia esplodere sanguinosi conflitti.
In queste pagine si parla molto di letteratura, di Storia e storie che sono indispensabili alla comprensione dei luoghi. Un percorso fondamentale fatto insieme agli scrittori e ai poeti di queste terre. Ivo Andric, Miroslav Krleza, France Preseren, Marisa Madieri, Fulvio Tomizza e tanti altri, a comporre una sorta di guida e di mappa geografica e letteraria in cui cercare pezzi di itinerari che ognuno potrebbe comporre a modo suo; preziosa per chi volesse mettersi in cammino da Trieste, direzione est sud-est, lungo la costa dell’Istria o penetrando l’interno della Slovenia e della Croazia, verso il cuore dei Balcani.
Giuseppe A. Samonà è nato nel 1958 a Roma, dove ha conseguito un Dottorato in Storia delle religioni antiche all’Università «La Sapienza». Lasciata l’Italia nei primi anni ’80, ha vissuto e insegnato a Parigi, New York e Montréal rispettivamente presso École Pratique des Hautes Études, State University of New York at Stony Brook e Université du Québec à Montréal). Ha pubblicato studi sul Vicino Oriente antico e sull’America indiana al tempo della Conquista. È stato cofondatore della rivista franco-italiana Altritaliani, ed è codirettore della rivista transculturale franco-canadese ViceVersa. Attualmente vive a Parigi, dove insegna e si occupa di questioni relative alla traduzione. Presta servizio volontario per il sostegno e l’insegnamento del francese ai rifugiati; scrive regolarmente per diverse riviste, in italiano e francese. Quelle cose scomparse, parole (Ilisso 2004; con una versione ampliata in e-book, nel 2013) è la sua prima opera di narrativa. Fa parte delle antologie di narratori La terra della prosa e Con gli occhi aperti (Exorma 2014 e 2016, a cura di Andrea Cortellessa), e dell’antologia di critica 12 apostati (Damiani 2015, a cura di Filippo La Porta). I fannulloni nella valle fertile, di Albert Cossery (Einaudi 2016, con un saggio introduttivo), è la sua ultima traduzione dal francese.