“Forse è nella natura femminile rivisitare periodicamente il passato, alla ricerca di nuovi indizi, particolari trascurati, sensazioni sfuggite, conferme a intuizioni retroattive. Gli uomini che conosco hanno un rapporto decisamente diverso con quello che è già successo: tendono a vederlo come un dato di fatto, immutabile quanto un edificio a molti piani, un insieme di conquiste o sconfitte di cui vantarsi o lagnarsi a seconda di come sia girato il destino. Non tornano indietro a contemplare le più disparate ipotesi in punta di piedi, lente di ingrandimento alla mano; non passano ore a riguardare vecchie foto o rileggere vecchie lettere, non tengono diari e quindi non vanno a sfogliare per l’ennesima volta le loro pagine. Sto generalizzando, ma la differenza mi sembra innegabile.”
È Mila l’io narrante del nuovo romanzo di Andrea De Carlo, Io, Jack e Dio (La Nave di Teseo), una storia curiosa e rocambolesca nella quale il filo conduttore è l’amore – da quello passionale a quello più etereo, per la religione. Ci sono tanti contrasti e tanti colpi di scena, come l’incipit: un incidente in deltaplano da cui Mila si salva per miracolo, rimanendo appesa nel vuoto, mentre Brusko, il suo amante, muore sul colpo. Brusko, rocker dal passato un po’ dissoluto, sposatissimo e con figli, era stato per Mila l’ennesimo “riempitivo” di un vuoto che si portava dietro dopo l’improvvisa scomparsa di Jack. Si conoscevano fin da ragazzini, quando passavano le estati presso le rispettive nonne a Lungamira, cittadina di mare sulla costa adriatica. Tanti discorsi ed esperienze, lunghe distanze (in primis tra l’Italia e l’Inghilterra) colmate da lettere fitte che hanno tenuto in piedi un’amicizia febbrile, che sembra fermarsi appena al di qua di una storia d’amore. Fin quando, senza spiegazioni, senza cause apparenti, Jack sparisce nel nulla, per sette lunghi anni. Poi a sorpresa riappare: è il frate che celebra il funerale di Branko. Mila stenta a crederci, Jack è quanto di più lontano possa esistere da un “uomo di Dio”. Eppure è proprio lui, appartiene a un ordine minore di frati che non è molto ben visto dalla curia, ha una vocazione fortissima che mette a disposizione di quanti, ogni settimana, partecipano alle conversazioni, incontri aperti, nella cappella del convento in cui si affrontano tanti argomenti diversi.
La religione, in questo romanzo, è una costante. Ce n’è tanta, tra passi della Bibbia e del Vangelo, interpretazioni e traduzioni, come tanto è l’amore e la passione che da sempre hanno legato Mila a Jack: Io, Jack e Dio racconta di un legame necessario e insostituibile, di una ricerca spirituale senza compromessi, e dei sentimenti complicati e contraddittori tra un uomo e una donna: “Nel giro di qualche anno non c’era stato più dubbio che Jack e io fossimo diventati totalmente necessari uno all’altra: eravamo così diversi e così simili, così complici e così complementari”.
Con un incedere lento, riflessivo, quasi sotto forma di diario, la ventiduesima opera di De Carlo spicca per originalità e introspezione.
L’autore è nato a Milano, dove si è laureato in Storia contemporanea. Ha vissuto negli Stati Uniti e in Australia, dedicandosi alla musica e alla fotografia. È stato assistente alla regia di Federico Fellini, co-sceneggiatore con Michelangelo Antonioni, e regista del cortometraggio Le facce di Fellini e del film Treno di panna. Ha scritto con Ludovico Einaudi i balletti Time Out e Salgari. Ha registrato i CD di sue musiche Alcuni nomi e Dentro Giro di vento. I suoi romanzi sono stati tradotti in ventisei Paesi e venduti in milioni di copie.
Rossella Montemurro