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In “Ovunque andrò” lo stile camaleontico di Piera Carlomagno, tra giallo e saga familiare

Da Pechino a una Basilicata profonda e arcaica, con un’incursione a Napoli “in un Sud che è tutto uguale, dal mare di Napoli alle rocce crepate di Basilicata”. È una scrittura avvolgente quella di Piera Carlomagno in Ovunque andrò (Solferino), il nuovo romanzo che riesce a unire masciare, affascino e multinazionali.

Raniero Monforti viene ritrovato morto dopo un volo dai piani centrali del vecchio BeiArt di Pechino. Era un imprenditore che “si muoveva solo ed esclusivamente nella sua limousine con vetri oscurati e aria condizionata a palla, musica appena percepibile, schermi accesi per seguire le quotazioni di Borsa in diretta, numeri che correvano a perdifiato senza che lui li degnasse di uno sguardo, e quattro telefoni cellulari”.

Nel dubbio tra suicidio o omicidio, è sulla moglie Tania che si concentrano i sospetti degli inquirenti. Alla vigilia della sentenza, Tania ricostruisce, per un uditorio immaginario, la storia di una morte forse annunciata.

La donna inizia da lontano, dalle origini della sua famiglia in un paese lucano chiamato Castrappeso, tagliato in due da una frana che nel 1935 divise a metà palazzo Di Salvia, segnando così il destino di una famiglia.

“(…) sento ancora un odore di cipria e belletti di altri tempi, il rumore di acqua satura degli umori della notte che scroscia giù dal balcone, direttamente nella terra fondativa, da un catino bianco di porcellana”.

Tania ripercorre, lungo un secolo, la storia di una dinastia e di una fabbrica di pellami di successo, lasciandosi andare ai ricordi e a descrizioni emotive: “(…) restavo sospesa tra il passato di una moltitudine di volti familiari, la raccolta delle mandorle, l’estate in Basilicata – e il presente di scene metropolitane mediorientali, compravendite a voce alta e strombazzate di clacson, apprezzamenti per strada di uomini sconosciuti di ogni età”.

Il marito Raniero – quando lo conobbe però “si chiamava Gianni allora, ed era un ragazzetto che veniva dal popolo della provincia napoletana, anche se portava un cognome altisonante, unico regalo di un padre di cui sapeva solo la firma su occasionali assegni bancari che arrivavano a sua madre” – è l’ultimo custode del patrimonio di Tania, il traghettatore dell’azienda nell’era della globalizzazione, in un Oriente misterioso e forse infido.

Durante le udienze che la vedono sul banco degli imputati, ha una sua strategia ben precisa: “(…) Raccontare tanto era come fornire un intero archivio da spulciare ai magistrati. Se vogliamo, distraente. Nessuno mi ha mai intimato di limitarmi a dei sì o dei no. E così ho raccontato”.
Quello della Carlomagno in Ovunque andrò è uno stile camaleontico. L’Autrice passa con naturalezza da diversi generi e forme espressive. Rende perfettamente la suspense del noir, il senso di curiosità delle saghe familiari, l’introspezione dell’animo umano. I suoi personaggi sono nitidi, a tutto tondo e le loro storie, che abbracciano il Novecento, si intrecciano alla Storia.

L’Autrice è giornalista professionista, scrive sul «Mattino» ed è direttrice artistica del SalerNoir Festival. È laureata in cinese e ha tradotto un’opera teatrale del premio Nobel Gao Xingjian. Con Solferino ha pubblicato Nero lucano (2021) e Il taglio freddo della luna (2022). Per Rizzoli Una favolosa estate di morte. Ha all’attivo altri romanzi, vari racconti e un testo teatrale; ha vinto numerosi premi di letteratura e giornalismo ed è stata finalista al prestigioso Tedeschi del Giallo Mondadori.

Rossella Montemurro

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