Oggi presso la “Sala Mandela” del Comune di Matera, si è tenuta la conferenza stampa di presentazione del Vivicittà 2025, proposto nella Città dei Sassi dal Comitato Territoriale Uisp di Matera. Giunto alla sua 41esima edizione, l’appuntamento con “la corsa più grande...
Oggi vi voglio raccontare la storia di un ragazzo di nome Luca, un adolescente che viveva in un piccolo paese circondato dalla campagna. Luca era un ragazzo come tanti, ma negli ultimi mesi qualcosa era cambiato. Aveva smesso di sorridere, di parlare con gli amici e di partecipare alle attività scolastiche. La sua vita a scuola era diventata una routine grigia, e la sua mente era costantemente affollata da pensieri tristi e solitari. La sua famiglia stava attraversando un momento difficile. I genitori erano sempre occupati, presi dai loro problemi, e Luca non riusciva più a sentirsi connesso con loro. La madre, stanca e stressata, non aveva tempo per ascoltarlo, e il padre, ormai assente, era troppo preso dal lavoro per dargli una mano. Luca cercava conforto nei libri, ma nessuna lettura riusciva a distrarlo dai suoi pensieri. La solitudine lo stava lentamente consumando. La scuola, che una volta era stata un posto dove si rifugiava, non gli dava più quel senso di appartenenza. Il suo rendimento scolastico era peggiorato, le sue relazioni con i compagni erano diventate sempre più fredde. Si sentiva invisibile, come se nessuno lo vedesse veramente, e la sua autostima era ai minimi storici. Un giorno, durante una lezione di religione, mentre spiegavo il significato del perdono e della speranza, Luca guardava fuori dalla finestra, perso nei suoi pensieri. Notai che Luca non stava seguendo la lezione come al solito. I suoi occhi erano opachi, distanti, come se stesse vivendo in un altro mondo. Cercavo sempre di capire le persone. Bisogna essere un uomo di fede, ma soprattutto avere capacità di ascoltare le persone e di vederle davvero. Questo rende speciale gli Insegnanti di religione cattolica. Conoscevo Luca da anni, ma non lo avevo mai visto così. Aveva sempre pensato che fosse un ragazzo brillante e pieno di vita, ma ora sembrava come svuotato, come se avesse perso qualcosa di importante. Decisi di fare qualcosa che molti altri professori avrebbero evitato: si avvicinò a lui. “Sei in ordine, Luca?” chiesi con voce calma e rassicurante, durante la pausa. Luca alzò gli occhi, sorpreso, e per un attimo il suo sguardo incrociò quello mio. Non rispose subito, ma non mi ritirai, non lasciai che il silenzio diventasse imbarazzante. “Se vuoi parlarne, sono qui,” aggiunsi, senza insistenza, solo con una presenza che non richiedeva parole. Luca sentì un nodo alla gola. Non riusciva a capire perché, ma qualcosa nella voce del professore gli fece abbassare le difese. Dopo un lungo silenzio, finalmente, Luca parlò. Raccontò tutto: delle sue difficoltà a casa, della separazione dei genitori, dei conflitti, delle parole non dette. Parole che nessun altro conosceva. Parlando, sentiva il peso del mondo che si stava sciogliendo lentamente, ma anche il dolore di una realtà che non riusciva più a gestire. Senza giudicare, senza interrompere, ascoltò con attenzione. “Capisco,” dissi, dopo che Luca ebbe finito di parlare. “Sai, la vita può sembrare davvero pesante a volte. Quando ti sembra che nulla abbia senso, è facile perdere la speranza. Ma anche quando il cammino sembra senza luce, ricordati che non sei mai solo. Ci sono sempre persone che ti vogliono bene, anche quando non te ne accorgi. E io sono qui, Luca, per qualsiasi cosa.” Non erano parole magiche, non c’era una promessa di miracoli, ma c’era qualcosa di incredibile nella semplicità di quelle parole. Luca sentì per la prima volta da tanto tempo che qualcuno lo vedeva davvero. Non era solo una figura autoritaria che gli imponeva regole e voti, ma una persona che si preoccupava di lui, che lo capiva, che lo ascoltava senza fretta di risolvere tutto. Il suo cuore, che sembrava ormai troppo chiuso, cominciò a sentirsi meno pesante. Nei giorni successivi, Luca continuò a parlarmi, sempre più spesso, e poco a poco iniziò a scoprire una parte di sé che aveva dimenticato: la speranza. Non gli dissi mai cosa fare, non gli ho mai indicato una strada perfetta, ma lo aiutato a vedere che c’era ancora qualcosa per cui valeva la pena lottare. Parlare con lui gli dava sollievo, come se ogni parola fosse una piccola pietra messa sopra il suo cuore per alleggerirlo. Luca iniziò a partecipare di nuovo alle lezioni, a fare domande, a sorridere. La sua vita non cambiò da un giorno all’altro, ma la sua prospettiva sì. Lo incoraggiai a frequentare la Parrocchia, e lì Luca scoprì un altro mondo, fatto di persone che, proprio come lui, avevano bisogno di essere ascoltate e di donare qualcosa agli altri. Nel corso dei mesi successivi, Luca riuscì a riavvicinarsi anche ai suoi genitori, a trovare un equilibrio tra il dolore e la speranza. Non tutto fu facile, ma sentì che non doveva affrontare tutto da solo. Posso affermare che con la sua pazienza e l’umanità, lo avevo guidato in un momento di disperazione, mostrando che la vera salvezza non arrivava da risposte facili, ma dalla consapevolezza che siamo tutti interconnessi, che ci sono sempre possibilità di cambiamento, se solo ci apriamo a esse. Luca non dimenticò mai quella chiacchierata con me. Anni dopo, quando sarebbe diventato adulto, avrebbe spesso pensato a lui e al modo in cui una semplice parola di gentilezza, un gesto di ascolto, potessero fare la differenza nella vita di una persona.
Nicola Incampo