Un giorno scrissi alla lavagna “Tradimento” ed invitai i ragazzi a riflettere sul sostantivo.
Tutti, ma proprio tutti intervennero per spiegare il termine e raccontare la loro esperienza.
Dopo aver ascoltato le loro riflessioni loro lessi una poesia di Teognide di Megara.
Teognide nacque probabilmente a Megara Nisea, nell’Attica, da famiglia aristocratica e, in seguito, ebbe ogni bene confiscato e dovette fuggire dalla patria in seguito alla vittoria politica della fazione democratica.
Si rifugiò, quindi, a Megara Iblea, colonia siciliana di Nisea, tornando poi nella terra natale ancora dilaniata dalle lotte interne.
Presso gli antichi godé fama di essere il migliore tra i poeti elegiaci, a tal punto che ogni produzione gnomica e sentenziosa di tal genere, qualora fosse di autore incerto, veniva attribuita a Teognide.
Riguardo alla cronologia non vi sono molti dati.
Le uniche notizie provengono dal Lessico Suda che lo ricorda nell’Olimpiade 59ª, da S.Girolamo e Cirillo per l’Olimpiade 58ª, da Cronichon Paschale per l’Olimpiade 57ª che testimoniano come l’acme di Teognide si collochi in quel periodo.
Oltre a questi pochi sono i dati, è quindi palese il motivo per cui non è possibile una risposta metodicamente valida al problema della cronologia teognidea. Possiamo, in definitiva, solo supporre che la sua vita sia collocata fra la fine del VI secolo a.C e la prima metà del V a.C.
La poesia è la seguente
M’eri amicissimo, eppure m’hai fatto sì male,
Né avevo colpa;
ma tu l’hai fatto per volontà cattiva.
In amicizia, niente fa male come il tradimento.
Immaginate: camminare insieme, cantare gli stessi canti e magari pregare le stesse preghiere.
O anche rimbalzarsi lealmente i desideri del cuore e raccontarsi i pensieri più delicati e i pensieri più sofferti.
Tutto questo no, non regge al tradimento.
È bello come il poeta ci fotografa la situazione: e se il tradimento sopravviene, la morte si distende, più che la morte fisica è una morte che si distende dentro di noi con una voce che non sa mentire.
Il tradimento fa male, come nessun’altra cosa.
E chi lo subisce sente che un verme si innesca, vorace, nel suo cuore.
Nicola Incampo