Oggi vorrei parlarvi di un sacerdote missionario, certo padre Giovanni Battista Tragella.
Giovanni Battista Tragella, figlio di Carlo e Angela Michelini, nasce il 18 novembre 1885 a Milano.
Alla quinta elementare entra nel seminario arcivescovile di Genova, città nella quale viene ordinato sacerdote il 16 luglio 1911.
Il 4 novembre 1912 parte per la Missione di Hong Kong, ma rimpatria nel settembre 1913 per malattia. Per gli stessi motivi di salute è costretto a rientrare definitivamente in Italia a luglio 1915, a soli quattro mesi dal suo rientro in Missione.
Il suo era un tempo di cambiamenti culturali, sociali, religiosi. «Vivo questi mesi – scriverà nel 1945 – pensoso delle sorti prossime future dell’umanità, delle nazioni, della Chiesa, delle missioni; in tutto si verificherà una rivoluzione che postulerà da noi nuovi atteggiamenti larghe visuali, reali attitudini di adattamento, e genuina evangelica santità». (Cfr. Lettera ad Ernesto Bonaiuti, Roma 12 marzo 1945).
A chi gli chiedeva chi era il Missionario lui rispondeva: «È il martire della fede, è la personificazione dell’amore sempre insaziato, è l’uomo della vita, del movimento, delle avventure, è la sublimazione dell’ideale di ogni terreno affetto, è l’immagine di Cristo Redentore! […] è un abisso insondabile, un mistero impenetrabile, che, in forza appunto di questo arcano, rapisce la gioventù sempre anelante al meraviglioso»27. È quella stessa gioventù che lo vede come «Avventuriero di Cristo» simile ad uno di quegli «irrequieti monaci dell’Irlanda medievale, eterni ed impenitenti peregrini pro Cristo». (Cfr. G. B. Tragella, La “Santa follia” della vocazione missionaria, Istituto Missioni Estere, Milano, 1923).
Scrive di lui Padre Gheddo: “Genovese severo e ruvido, di carattere non facile ma dalla grande fede e dall’acuta intelligenza, era stato due volte per poco tempo ad Hong Kong, ma aveva dovuto rinunziare alla missione perché soffriva di asma e non resisteva a quel caldo umido.
Sacerdote della diocesi di Genova nel 1911, entrato nel Pime nel 1912 e lo stesso anno partito per la missione, ritorna in Italia definitivamente nel 1914: a 29 anni incomincia ad aiutare il beato padre Paolo Manna, direttore della stampa del Pime, e si rivela ben presto studioso profondo di temi missionari e teologici e scrittore efficace.”
Padre Gheddo racconta ancora che prima di morire padre Giovanni Battista Tragella gli disse: “Non capisco perché il Signore ci fa vivere così poco. Adesso che ho 84 anni, sento che sono al termine della mia esistenza. Perché proprio adesso, che incomincio a capire che cosa è la vita, debbo morire?
Il mio cruccio è questo: che quando giungi al termine della vita, allora capisci bene che conta solo quello che fai per Dio. Tutto il resto scompare, non conta nulla. Ricordati tu che sei giovane: lavora solo per Dio, perché quello che fai fuori del suo amore e della sua volontà non conta nulla”.
Il missionario ci ricorda che dobbiamo rimanere con Dio e Dio rimarrà sempre con noi.
In questi momenti di pandemia non dobbiamo lasciarci abbattere dalle sofferenze, dalle difficoltà, dalla paura del futuro.
La vita è bella quando il Signore è con noi, cioè quando noi cerchiamo con sincerità di essere con Dio.
Nicola Incampo
Responsabile della CEB per l’IRC e per la pastorale scolastica