Durante il periodo di Quaresima mi piace pregare con il libro Giobbe ed in modo particolare pregare il Signore come ci invita a farlo il grande Søren Kierkegaard.
“Io non lo leggo con gli occhi come si legge un altro libro, me lo metto per così dire sul cuore e in uno stato di clairvoyance interpreto i singoli passi nella maniera più diversa. Come il bambino che mette il libro sotto il cuscino per essere certo di non aver dimenticato la lezione quando al mattino si sveglia, così la notte mi porto a letto il libro di Giobbe” (Kierkegaard).
Nel mondo degli «invisibili» non è difficile incontrare il volto di Giobbe.
Riconosci il suo viso nelle celle delle carceri.
Urla oltre ogni barriera.
Percepite sempre in ritardo.
Giobbe: straordinario personaggio biblico, di ieri e di oggi.
Volto dai tratti inconfondibili della sofferenza e del dolore di ogni genere.
II testo biblico “vetta della letteratura mondiale” ha un fascino del tutto particolare.
Il libro di Giobbe non solo si legge e rilegge, ma si è letteralmente attratti.
Sia con le pagine in prosa, sia con quelle in poesia il lettore è accompagnato, dal vecchio Giobbe, alla conoscenza dell’uomo, alla esplorazione dell’assurdo mondo della sofferenza, ma soprattutto è introdotto al cospetto di Dio.
II nucleo del libro è proprio questo: l’appassionata ricerca di Dio.
“Magari sapessi come incontrarlo, come giungere al suo tribunale! Esporrei davanti a lui la mia causa, con la bocca colma di argomenti, saprei con che parole mi risponde e comprenderei ciò che mi dice” (Gb23,3-5).
E a pensare che la vicenda inizia con l’improvviso cambiamento di scenario, che capovolge radicalmente e senza ragione la felice esistenza di Giobbe, uomo giusto, onesto e pio.
Nonostante tutto però, egli non si rivolta contro Dio, come avrebbe atteso e desiderato Satana.
“Nudo uscii dal grembo di mia madre, nudo vi ritornerò.
II Signore ha dato, il Signore ha tolto: sia benedetto il nome del Signore!” (Giobbe 1,21).
Perfino quando è toccato nella sua pelle.
“Dalla testa ai piedi coperto di piaghe”. Giobbe non si rivolta. La sua stessa moglie, parlando da “insensata” e vedendolo soffrire, esclama: “Maledici Dio e muori”.
Quante volte, anche a noi, la fine appare migliore di un lento dissolversi.
Le inutili ed interminabili notti.
Gli insopportabili giorni.
Ne ho parlato all’ultimo incontro al carcere, in un primo momento i detenuti hanno provato imbarazzo come tutti dinanzi alla sofferenza.
“Giobbe oscilla tra la spasmodica ricerca di Dio e l’esaltante esperienza di Dio. II Signore sfidato diviene a sua volta sfidante dell’uomo” (G. Ravasi).
Come Giacobbe, l’uomo rappresentato da Giobbe, è chiamato a lottare con tutte le forze con Dio.
In questa lotta, corpo a corpo, è la sua più bella ed esaltante avventura.
Dio non potrà mai essere afferrato, non potrà mai essere preso.
Non è possibile racchiuderlo nei nostri schemi.
Egli sfugge ad ogni presa.
E sempre al di là. Seduce e scompare. Lo abbracci e lo ricerchi.
Giobbe, nella lotta, assapora la sua indicibile presenza. Anche sotto interrogatorio, gusta la sua Parola e “riconosce davanti alla sfilata dei segreti cosmici della requisitoria di Dio, di non essere in grado di sondare che qualche particella microscopica, mentre Dio sa percorrerli con la sua onniscienza ed onnipotenza” (G. Ravasi).
Partendo dalla ragione, l’uomo farà esperienza di Dio solo superando la ragione stessa.
“Ti conoscevo per sentito dire ora i miei occhi ti hanno veduto” (Giobbe 42,5).
Giobbe, ora davvero felice, riprende i suoi passi nel giardino della storia.
Nicola Incampo
Responsabile della Conferenza Episcopale di Basilicata per l’IRC e per la pastorale scolastica