Un giorno scrissi alla lavagna “E’ il mese di maggio, il mese consacrato a Maria, facciamo ogni giorno un fioretto in onore della Madonna?”.
Ricordo che tutti mi guardarono con stupore, un alunno mi chiese: “Professore che cosa è un fioretto?”
Risposi: “E’ una mortificazione, un sacrificio volontario anche piccolo, in modo da rinunziare a quanto ci fa piacere così da esercitare la volontà a dire di no a noi stessi”.
Con molta meraviglia ascoltai la sua risposta: “Professore, ma è una cosa superata!”
Per i giovani il fioretto è superato.
E invece no, non è affatto inutile la pratica di fare spesso grandi e piccoli sacrifici per amore di Dio, anzi mai come adesso ha un significato profondo.
Un altro alunno aggiunse: “Ciascuno di noi deve realizzare i propri progetti, le proprie aspirazioni”.
E’ giusto, risposi, ma bisogna vedere che cosa si intende per realizzare se stesso.
Tenete presente che solo la fede mi dice se io mi realizzo o meno, cioè se sono sereno e pieno di gioia amando e imitando Gesù e vivendo secondo il Vangelo. Perché?
Il motivo è semplice: siamo stati creati da Dio e ci realizziamo solamente vivendo come Dio vuole.
Avete riflettuto che secondo “gli esperti” di oggi ogni richiamo alla mortificazione, alla rinunzia, al portare la propria croce è un voler attentare alla realizzazione personale.
Aggiungerò di più.
Qualche psicologo ha detto che “… è giusto rinunziare a quello che nuoce alla salute, come ad esempio il bere e il mangiare troppo, ma rinunziare a quanto fa bene e piacere è un’assurdità”.
La verità invece è un’altra: lo scopo del fioretto non è un’ascetica fine a se stessa, ma educarci a saper dominare il corpo, a saper dominare le tendenze, a saper rinunziare alle proprie idee, quando vediamo che non sono giuste. Dobbiamo convincerci che per vivere secondo il Vangelo bisogna andare contro corrente rispetto alla mentalità del mondo.
Ricordo che Padre Gheddo definiva i fioretti: “Piccoli o grandi atti di rinunzia, per amore di Dio, che costano sacrificio e ci permettono di dominare i nostri sentimenti, passioni, forze corporali, tendenze cattive”.
Non dobbiamo mai dimenticare che la mortificazione come atteggiamento di vita si comprende solo con una visione di fede e di vita cristiana impegnata. San Paolo ci ricorda che “… tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato.” (Cfr. 1 Corinzi 9, 27).
Nella biografia di Santa Teresa di Gesù Bambino, nel libro Storia di un’anima leggiamo: “Le mie mortificazioni consistono nel rompere la mia volontà sempre pronta ad imporsi, nel trattenere una battuta di risposta, nel rendere agli altri piccoli servizi senza farli valere, nel non appoggiare la schiena quando ero seduta”.
Ma poi aggiunge che le rinunzie più importanti, che più le costano, “consistevano nel mortificare il mio amor proprio e questo mi procurava molto maggior vantaggio che le mie penitenze corporali”.
Nicola Incampo
Responsabile della CEB per l’IRC e per la pastorale scolastica