“Le acque del Basento sono potabili. Sono state effettuate analisi approfondite prima di procedere all’utilizzo delle stesse. Dunque accogliamo positivamente l’iniziativa della magistratura di effettuare ulteriori analisi, che confermeranno l’efficacia delle nostre...
Oggi voglio fare una riflessione sul dubbio e la voglio fare partendo da una lettera scritta dal grande romanziere russo Fëdor Michajlovic Dostoevskij a Natalia Fonvizina nel 1854: “Sono un figlio del secolo, un figlio della mancanza di fede e del dubbio quotidiano e lo sono fino al midollo. Quanti crudeli tormenti mi è costato e mi costa tuttora quel desiderio della fede che nell’anima mi è tanto più forte quanto sono presenti in me motivazioni contrarie! Tuttavia Dio talvolta mi manda momenti nei quali mi sento assolutamente in pace. In tali momenti, io ho dato forma in me ad un simbolo di fede nel quale tutto è per me chiaro e santo. Questo simbolo è molto semplice, eccolo: credere che non c’è nulla di più bello, di più profondo, di più ragionevole, di più coraggioso e di più perfetto di Cristo e con fervido amore ripetermi che non solo non c’è, ma non può esserci. Di più: se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori della verità, mi dimostrasse che veramente la verità non è in Cristo, beh, io preferirei lo stesso restare con Cristo piuttosto che con la verità.”
E’ sicuramente la professione di fede in Cristo che il celebre romanziere scriveva alla sua amica.
Vi confesserò che questa lettera la leggo ogni volta che mi assale un dubbio, perché questa scritto mi ricorda San Tommaso, l’apostolo che conobbe il dubbio e l’esitazione più degli altri.
Il dito che mette nelle ferite di Gesù è quasi un simbolo di incredulità e il suo nome uno stereotipo per rimandare al dubbio.
Eppure Gesù gli concede quella prova che egli così pesantemente reclamava.
Certo più beati sono quelli che “senza aver visto crederanno”.
Ma anche per San Tommaso si apre l’orizzonte della luce.
E io direi proprio come il romanziere russo che alla crisi e al dubbio vede subentrare “momenti nei quali mi sento assolutamente in pace”.
Questo significa che la vera fede non è schiavitù ma libertà, non è imposizione ma ricerca, non è obbligo ma adesione, non è oscurità ma luce abbagliante, non è tristezza ma serenità, non è ansia ma pace.
Vorrei ricordare però che la vera fede è anche l’antitesi dell’orgoglio, dell’arroganza o addirittura arbitro di ogni morale.
“Se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori della verità, mi dimostrasse che veramente la verità non è in Cristo, beh, io preferirei lo stesso restare con Cristo piuttosto che con la verità”.
Nicola Incampo
Responsabile della CEB per l’IRC e per la pastorale scolastica