Alcune volte gli alunni mi chiedevano: “Professore, perché non parliamo dei piaceri della vita?” e io leggevo loro una poesia di Robert Burns, poeta scozzese.
Robert Burns Nacque in Scozia, da una famiglia contadina, ed era il primo di sette figli.
Nonostante le difficoltà economiche il padre gli procurò un insegnante, secondo il quale il giovane “faceva rapidi progressi nel leggere seppur fosse solo tollerabile nello scrivere”.
Burns divenne a quindici anni il principale lavoratore alla fattoria, al punto che la spinta a scrivere divenne per lui uno sfogo e una fuga dalle “sue circostanze”.
Il 4 luglio 1781, all’età di 22 anni Burns fu iniziato in Massoneria.
La sua fama crebbe rapidamente: poco dopo la prima pubblicazione delle sue opere il quotidiano Edinburgh Magazine gli dedicò un articolo.
Sull’importanza delle opere di Burns è tuttora in atto una controversa discussione tra la corrente “mainstream”, e chi fa invece notare quanto siano stati sottovalutati e volutamente tralasciati per molti decenni tutti i suoi componimenti politico/satirici, che all’epoca se divulgati gli sarebbero costati l’esilio o la morte.
Il faticoso lavoro intrapreso durante l’adolescenza aggravò gli effetti di una malattia cardiaca che lo condusse alla morte a soli 37 anni, il giorno dopo quello in cui la moglie diede alla luce il suo ultimo figlio, Maxwell.
La poesia che proponevo era la seguente:
“I piaceri sono come distese di papaveri;
tu cogli il fiore e la sua freschezza è spenta;
o come la neve che cade nel fiume
per un attimo è candida
poi si scioglie per sempre”
L’autore è davanti ad una distesa di papaveri: con il loro rosso acceso evocano emozioni forte, piaceri acuti.
Eppure, appena li ha colti, subito intristiscono, si piegano, si accartocciano.
Son sicuro che pure a voi, come a me, questa poesia vi farà venire in mente alla facilità con cui Gesù trasformava in parabole spirituali le semplici realtà del suo orizzonte agricolo: “Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?”
Riflettete: la parabola è limpidissima e immediata.
Il piacere porta con sé il sigillo della sua fine.
È affascinante come il papavero e la neve sono destinati alla dissoluzione del flusso dell’acqua che scorre.
Nicola Incampo
Responsabile della CEB per l’IRC e per la pastorale scolastica