Era un mercoledì come tanti, l’ora di pranzo come sempre.
La cucina profumava di casa: odore di fagioli stufati a lungo, di pasta cotta al dente, di cipolla rosolata piano piano.
Un piatto povero, sì, ma vero.
Preparato con cura, come ogni gesto che mia madre compiva in quella piccola cucina.
Io, mio fratello più piccolo, le stoviglie pronte, la fame che iniziava a farsi sentire: tutto era al suo posto.
Poi, tre colpi alla porta.
Secchi, rispettosi, come chi non vuole disturbare.
Il mio fratellino corse ad aprire.
Sulla soglia c’era Fra Marcellino.
Un volto noto, amico.
Il frate cercatore. Passava di tanto in tanto, silenzioso, col suo saio polveroso, il sorriso lieve e la borsa vuota.
Non chiedeva nulla. Non serviva. La sua sola presenza bastava a ricordarci che la povertà non bussa mai con prepotenza, ma con una gentilezza che disarma.
Ricordo benissimo cosa fece mia madre.
Non disse una parola.
Guardò i piatti appena riempiti, poi — con un gesto che non scorderò mai — prese un cucchiaio da ciascuno. Lo fece con grazia, senza fretta, come se stesse componendo una nuova armonia.
E da quel poco, nacque un piatto in più.
Un piatto per Fra Marcellino.
Caldo, uguale al nostro, senza differenze.
Non fu un sacrificio. Non lo vissi così.
Fu un atto naturale, semplice come un respiro.
Ma in quel gesto silenzioso si concentrava tutto il senso della parola “umanità”.
Sedemmo a tavola tutti insieme. Mangiammo. Il frate ringraziò con gli occhi, più che con le parole.
Io, che pure ero solo un bambino, percepii che qualcosa stava succedendo. Non un evento, ma un insegnamento. E quel giorno, forse per la prima volta, compresi il valore della condivisione.
Il piatto era lo stesso di sempre. Eppure, non aveva lo stesso sapore. Quella pasta e fagioli aveva un gusto nuovo. Più intenso. Più profondo. Era il gusto del dono, della presenza, della dignità data e ricevuta. Non era un pasto: era una comunione.
Oggi, tanti anni dopo, ripenso spesso a quel mercoledì.
A quel cucchiaio in meno per ciascuno di noi.
E a quanto ci abbia lasciato in più.
Non ricordo tutti i pranzi della mia infanzia.
Ma quel giorno sì. Quel giorno non lo dimenticherò mai.
E ogni volta che sento il profumo della pasta e fagioli, qualcosa in me si ferma. Una memoria, un’emozione, una gratitudine che ancora oggi — nei giorni affannati della vita adulta — mi ricorda che la vera ricchezza non è ciò che teniamo per noi, ma ciò che sappiamo offrire.
Anche solo un cucchiaio alla volta.
Nicola Incampo
