domenica, 8 Settembre 2024

L’altro giorno ho ricevuto una telefonata di un mio alunno dell’ISSR, mi comunicava, commosso, che era stato chiamato per una supplenza.

Non aveva parole per esprimere la sua gioia.

“Professore, mi consigliate un libro?”

Gli ho consigliato di leggere Henry Newman, ed in modo particolare una sua considerazione scritta in “Studi elementari”.

John Henry Newman, nato il 1801 e morto il 1890, è stato cardinale, teologo e filosofo inglese, venerato come santo dalla Chiesa Cattolica.                   

Già sacerdote anglicano visse con disagio la fase di secolarismo.

Entrato a far parte del Movimento di Oxford, ne divenne uno degli animatori. Convertitosi al cattolicesimo, fu di nuovo ordinato prete nella Chiesa cattolica, Elevato al cardinalato nel 1879 da Leone XIII, morì nel 1890. 

Beatificato il 19 settembre 2010 da papa Benedetto XVI, è stato proclamato santo il 13 ottobre 2019 da papa Francesco.

Particolarmente osteggiato da una parte della gerarchia cattolica del suo tempo, per la decisa convinzione che anche i laici dovessero partecipare alla vita della Chiesa, fu invece considerato uno dei “padri assenti” del Concilio Vaticano II per l’influsso che il suo pensiero teologico e filosofico ebbe sull’assise vaticana, decine di anni dopo la sua morte.

È stato considerato da alcuni uno dei più grandi prosatori inglesi e il più autorevole apologista della confessione cattolica che la Gran Bretagna abbia prodotto e uno dei più importanti nella storia del cristianesimo.

Per la sua tolleranza e mitezza è stato apprezzato anche in ambienti non cattolici.

La considerazione è la seguente: “Non devi affidarti ai libri, ma semplicemente usarli; non dipendere come un peso morto dal tuo insegnante, ma cogliere parte della sua vita; maneggiare ciò che ti viene offerto non come una formula, ma come un modello da copiare e come capitale da valorizzare; gèttati, corpo e mente, in quello che fai e unirai così i diversi vantaggi dell’avere un insegnante e dell’essere autodidatta”.

E’ come dire che ogni vera scienza nasce da un’esperienza personale e vissuta, non è un mero accumulo mentali di dati che, al massimo, può creare un erudito.

Io posso testimoniare che il rapporto docente-alunno è un dialogo vitale e non una mera trasmissione passiva di cognizioni.

Invece la vera conoscenza è penetrazione nella realtà indagata fino a coglierne la bellezza e la forma intima.

Ecco perché l’insegnamento è una vocazione e non una professione.

Concludo questa mia riflessione ribadendo che  l’apprendimento dovrebbe avere sempre meno il profilo di uno stanco dovere, ma deve essere un’esperienza di vita e soprattutto un’avventura dello spirito.

Nicola Incampo

Responsabile della CEB per l’IRC e per la pastorale scolastica

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