
«Definirmi una persona vulnerabile, fragile, non mi pesa. Anzi, credo sia la forma di accettazione più alta della propria umanità e questo mi permette la libertà e la serenità (senza esprimere nessun giudizio) di affiancarmi e accostarmi alle vulnerabilità e alle fragilità di chiunque incontro. Proprio nella vulnerabilità e nella fragilità mia e dell’altro c’è la bellezza della chiamata, la bellezza del divino che leggo secondo la logica dell’incarnazione il Dio che si fa uomo accettando di abbracciare tutta la vulnerabilità e la fragilità umane portandole fin sulla croce per poi riscattarle nella Resurrezione: è quello che siamo chiamati a fare noi sacerdoti, accogliere la fragilità dell’altro affinché sia un’offerta per diventare strumento prezioso di Resurrezione nel quotidiano.»
Quella di Don Francesco Di Marzio, che ieri ha festeggiato i 25 anni dell’ordinazione presbiteriale, è una vocazione contraddistinta dal trigenerazionale materno: la nonna che, quando era bambino, lo portava ogni sera a messa; la mamma, prematuramente scomparsa, che con uno sguardo pieno di luce dimostrò di essere contenta se Francesco avesse voluto intraprendere la strada del sacerdozio; la Madonna, a cui è devoto da sempre – negli ultimi anni è delegato arcivescovile dell’Associazione Maria SS. della Bruna.
«Ero piccolo, avevo quattro anni e mia nonna quasi tutti i giorni mi portava a messa nella chiesa di Sant’Agnese. – ricorda – Voleva che potessi vivere appieno l’appartenenza alla comunità e che crescessi nel contesto parrocchiale. Ma ero un bambino vivace e, non volendo andare tutte le sere a messa, ne combinavo di tutti i colori: mi infilavo sotto i banchi e cercavo di creare le condizioni perché mia nonna desistesse. Lei però non si arrendeva, e mi portava con sé.»
Quella che sulle prime era vissuta come una costrizione diventa pian piano un’abitudine e si trasforma in una passione: «Sono cresciuto sotto l’ala di Padre Basilio e di Padre Severino. Ho iniziato a servire messa, ho fatto il chierichetto (oggi si dice “ministrante”), fino a quando mi è stato affidato l’incarico di responsabile dei chierichetti. Trascorrevo i pomeriggi giocando per strada e, abitando nel rione Cappuccini, all’epoca significava giocare anche nella Gravina: dopo aver fatto i compiti, con gli amici ci divertivamo a costruire le capanne con le frasche e ad avventurarci nelle grotte. La sera servivo messa e davo una mano in parrocchia.»
La sua è un’infanzia spensierata sostenuta da valori imprescindibili.
Ha solo 12 anni quando, purtroppo, accade un evento tragico che, parole sue «leggendolo anche col senno di poi, a distanza di anni, credo abbia inciso significativamente per comprendere quella che era la chiamata – perché la vocazione è una chiamata del Signore che va saputa leggere, interpretare. Quando il Signore ha scelto di chiamarmi a sé, mia mamma si ammala. Si ammala di una malattia che allora aveva poche prospettive di vita.
In parrocchia c’era una comunità di suore. Eravamo molto legati a suor Mariangela che, ricordo benissimo, facendo visita a mia mamma qualche giorno prima che morisse, nel maggio 1988, le chiese: “Vorresti che Francesco diventasse sacerdote?” Mia mamma non rispose, aveva lo sguardo sofferente per la malattia, eppure per un attimo il suo sguardo si accese. In quel momento non diedi peso; poi, riflettendo, gli ho dato un significato.
Dopo due anni dalla morte di mia madre ho espresso il desiderio di entrare in seminario. Mio padre, contadino, ha avuto difficoltà ad accettare questa mia decisione. Le sue aspettative non corrispondevano ai miei desideri: ero l’unico figlio maschio, non si rassegnava alla mia scelta; se fossi entrato in seminario, sarebbe venuto meno un retaggio.»
Con ferma convinzione, Francesco inizia il nuovo percorso, rimanendo inevitabilmente segnato da tante esperienze. In particolare, quella presso la Piccola Casa della Divina Provvidenza Cottolengo di Torino: «Ero sacerdote da cinque anni e lì ho fatto volontariato per un mese nel periodo estivo, proprio perché la chiamata è qualcosa che implica un continuo percorso di adesione: avviene una volta ma c’è bisogno di rimotivazione. In quel periodo volevo comprendere alcune cose mie e, per comprendermi, decisi di fare un’esperienza a contatto con situazioni umane dolorose, di sofferenza, di malattia fisica e psichica. Una quotidianità che ha permesso di rimotivarmi e ricomprendere il senso della mia vocazione. Sono stati giorni impegnativi, faticosi dal punto di vista sia fisico sia emotivo, ma mi hanno dato la possibilità di ricentrarmi nella mia scelta. Di tanto in tanto ho bisogno di fare esperienze significative per ritornare con i piedi per terra.»
L’attenzione al mondo interno non lo ha mai abbandonato, tanto che ha anche conseguito una laurea in Psicologia clinica: «Dopo otto anni di sacerdozio avevo bisogno nuovamente di ricentrare, ricalibrare alcuni aspetti, in questo caso legati alla mia struttura di personalità, alla mia componente più umana. Chiesi al vescovo di allora, monsignor Ligorio, di poter intraprendere questo percorso di studi e lui fu molto attento e generoso nei miei confronti. Ho dovuto lasciare per cinque anni l’attività pastorale per dedicarmi principalmente agli studi, svolti presso la Pontificia Università Salesiana di Roma. Lì ho compreso molte cose di me, mi sono formato sia umanamente sia spiritualmente e professionalmente.»
Don Francesco è attualmente in prima linea nell’Associazione Maria SS. della Bruna come delegato arcivescovile: «Non lo avrei mai avrei immaginato, era una prospettiva completamente lontana dalle mie idee e dai miei desideri. Quando il vescovo me lo chiese, ero un po’ scettico. Mi sono buttato a capofitto e non è un modo di dire ma un dato di realtà. Voglio far sì che la devozione alla Madonna della Bruna, la devozione e la fede nel figlio Gesù, possa essere sempre più accolta, accettata e vissuta non solo da pochi ma dall’intera comunità. Risposi al vescovo: “Accetto purché mi si lasci la possibilità di essere quello che sono, non posso fingere”. Questo mio servizio all’intera comunità cittadina e diocesana lo vivo con un unico obiettivo: far amare e conoscere Gesù che ci viene donato da Maria. Per me è prioritario evangelizzare, catechizzare con le modalità proprie che la festa della Bruna permette e consente. Il corollario, la centralità è data dall’annuncio del Vangelo e l’amore di Dio viene veicolato attraverso la più bella tra le donne.»
Rossella Montemurro
