Un po’ di tempo fa leggevo su un quotidiano una notizia veramente… da riflettere.
Un padre e il figlio tredicenne, nel loro garage, stavano aggiustando una bicicletta.
Da normalissimo tredicenne il figlio è distratto e maldestro.
Ad un tratto con un gesto malaccorto, il ragazzo rovescia sul pavimento una scatola di bulloncini.
Al papà gli vengono i famosi “cinque minuti” e con una furia inaudita si scaglia sul figlio picchiandolo in modo crudele e insensato.
Alcune ore dopo, il povero ragazzo viene trovato rantolante dietro un cespuglio.
Denunziato dai vicini di casa, il padre viene arrestato.
All’ospedale il figlio resta alcuni giorni in coma.
Sapete quali sono le prime parole che pronuncia il figlio quando si riprende?
Guarda la mamma e poi con una pena infinita, dice: “Non gli faranno mica del male al mio papà, adesso?”
Immaginate, lo aveva quasi ammazzato di botte, ma quell’uomo era il suo papà.
Recentemente in una grossa città, un bambino di undici anni è stato sorpreso a rubare. “Lo faccio per aiutare la mamma, che ha bisogno di tanti soldi per drogarsi”.
Perché un bambino è disposto a tutto per aiutare i suoi genitori.
Ma allora che cosa è la famiglia?
Per prima cosa chiariamo che la famiglia felice è una famiglia, che vive in un vero, profondo, sincero e stabile clima affettivo.
Questo significa che sui genitori grava una bella responsabilità.
Affinché la famiglia sia veramente “nucleo affettivo”, come diceva un esperto: “Occorre quella dote che è stata chiamata maturità affettiva, e che è un insieme di tante doti: generosità tolleranza, adattabilità, comprensione, ragionevolezza, eccetera.
In sintesi, occorre la capacità di accettare l’altro, coniuge o figlio che sia, per quello che è.
Anche se è diverso da quello che si vorrebbe.
Cosa non facile, beninteso, ma indispensabile se si vuole dare al figlio quel minimo di sicurezza affettiva che gli serve per evolvere”.
Naturalmente, io mi permetto di aggiungere che questo nucleo affettivo deve essere stabile.
La famiglia non si impone al figlio, ma si mette a sua disposizione.
Non lo abbandona, ma nemmeno lo trattiene.
È solida come una roccia, ma elastica come un giunco.
È esattamente l’opposto di quel vecchio proverbio arrogante che dice: “Si piega alle necessità e alle vicende dell’esistenza, ma non si spezza mai”.
Nicola Incampo
Responsabile della CEB per l’IRC e per la pastorale scolastica