Sulla Torre dell’Orologio è andato in scena il “Melusiando”, su un palcoscenico naturale tra le vette di Orsomarso, a pochi chilometri da Scalea, territorio interno di una Calabria che ha ancora molto da dire e soprattutto da scoprire di se stessa. Orsomarso è lo storico piccolo Comune in cui si è tenuta la 1^ Edizione di “CRIVU Festival dei paesaggi straordinari e delle rive sconosciute” ideato e posto in essere da Monica Marziota e Michele Gerace. Orsomarso è una perla incastonata tra i contrafforti occidentali dell’Appennino calabrese e il Tirreno, dentro la Valle del Fiume Argentino e nel Parco Nazionale del Pollino. Cuore del Mercurion, è stato uno dei maggiori centri del misticismo dell’Italia Meridionale. Monica Marziota, Artista cosmopolita cresciuta tra l’Avana, Toronto, Gran Canaria e Roma, soprano, musicista, performer e musicologa con Michele Gerace, Avvocato, divulgatore scientifico e culturale della Scuola “cento giovani” nonchè Presidente dell’Osservatorio sulle Strategie Europee per la Crescita e l’Occupazione, coppia nella vita col figlio Agostino di soli due anni, che pensano alla roccia, alla rupe, alla verticalità, all’immanenza e alla trascendenza e ne fanno una realtà tutta da vivere e sperimentare dal 2 al 4 agosto, è davvero una notizia. In quella verticalità si è situata la pièce di Antonella Pagano. Ci riferisce al solito con quella sua voce che incanta: si son dovuti salire 115 ripidi scalini per giungere sulla spianata della Torre e poterla ascoltare. Lassù in cima sorgeva il monastero, proprio come i monasteri delle Meteore in Grecia, a 200 chilometri da Salonicco; oggi il monastero non c’è più, e neppure ci sono più la fortificazione longobarda e la roccaforte romana, si sono anche dissolti i pregevoli affreschi che ornavano l’ultima parete esposta per oltre un millennio ai sette venti, perciò le quinte sono state le lussureggianti montagne mentre il fondale è stato l’illuminata frattura tra quegli orizzonti ricamati. E ci hanno insegnato ad arrampicarci. Per quanto mi riguarda ARRAMPICARSI non è sisifea fatica! E’ dare il ricostituente alla femminilità suggendola dalla Roccia, dalla Rupe, dall’onda, dall’immanenza e dalla trascendenza, per scrivere la migliore storia, la più sublime musica, la poesia che travalica il tempo e sa farsi breccia anche nel cuore più spinoso, meno ricettivo, per produrre l’arte che fa sgorgare le lacrime; tutti sostantivi femminili immersi dentro il maschile Mediterraneo con le sue superfici dai mille verdazzurri e dai suoi misteriosi fertili abissi e dentro il maschile Appennino, dorsale che solidifica e genera vette con rocce aguzze, appunto, svettanti incontro al cielo mentre si fanno matite ciclopiche e disegnano orizzonti sempre nuovi. Ma, devo confessarle che quando sono arrivata, il Tutto è stato più e più volte superiore all’altrove immaginato poiché mi sono trovata dentro, ma proprio dentro, un posto straniante, ancestrale, primitivo e maschile, forte e granitico, di quei territori che t’abbracciano con potenza d’odori, d’intensità di presenza, insomma in maniera primitiva che intriga, cattura, destabilizza e stravolge le coordinate con cui si è tessuti e con le quali sei arrivato per costringerti a fartene di altre, non a sovrastrutturare quelle che possiedi, bensì a fartene di nuove. E’ ciò che può far nascere un amore travolgente e rasentare tanatos, morte/rinascita di potenza inaudita. Quanto all’emozione dinanzi all’Armilungo, fallico roccione che con la sua imponenza è il guardiano naturale di Orsomarso, beh è da provare direttamente; sta lì a segnare anche il tempo su un immaginario quadrante che da ere ed ere sembra abitare Orsomarso. Ho potuto riflettere molto in quel territorio, soprattutto sulla contemporaneità che vive la crisi della Cultura e la crisi dell’Uomo, sulla poesia civile che s’è fatta aliena al pianeta terra, la denuncia -ove appaia- è bugiarda o cattiva e distruttiva. Il “Melusiando” è andato in ridotto su quella spianata per poi andare in integrale nella sottostante Piazza dell’Orologio. E’ lassù, dove il cielo è più cielo e la terra più terra, che la Pagano ha evocato i suoi mentori, gli stessi che hanno suggerito il Festival: roccia, rupe, onda, immanenza, trascendenza, quella che la Pagano chiama la femminil sostanza. Vi convoco tutte! Ha cantato, voi tutte Melusine già invocate da Goethe e Alvaro. Ha auspicato il melusinovivere in verticalità piuttosto che la minimale oriozzontalità. Ha composto un’Ode alla Calabria melusina abbracciata dal Maschile Mediterraneo con tutti i suoi fertili abissi! Ha inneggiato alla Calabria melusina solida d’Appennino, sostanza maschile che l’attraversa. CalabriamelusinamelusinaCalabriamelusina la sua innamorata litania insieme all’ormai noto Calla bellezza calla Kalos cantate il canto che il vento orchestrò- Calla bellezza calla Kalos canta il canto che il vento cantò! Grazie a questo poetico canto la leggenda s’è incastonata con maggiore significazione tra quelle vette; Melusina, che quel gran Maestro che fu il rivoluzionario Medioevo, da donna-uccello la volle donna-pesce, ha convocato a sua volta tutte l’ardite immortali Melusine…fate d’Acqua, donne or serpenti or draghi! Attraverso queste presenze mitiche la Pagano -drammaturga e interprete- ha inteso dire ai contemporanei che vi sono territori che non tutti possono attraversare, quelli che dividono i due mondi; e che conoscere il soprannaturale è rompere il tabù, è rompere il patto con la divinità. Occorre di fatto, dirà nella Pièce, che non si approdi casualmente, brutalmente, poiché è indispensabile che prima ci si alleni in tre esercizi, in quei tre termini spirituali e culturali di cui è maestro il Prof. Claudio Strinati: la Conoscenza, il Riconoscimento e la Partecipazione. Solo attraverso quest’umana accurata ‘ginnastica’ si potrà attraversarli rispettosamente, sia i territori fisici che i territori dell’anima. Melusiando, dunque, benchè consapevole d’essere in controtendenza, tenta, suggerisce con parole, musica, testi e nenie la via maestra che sta proprio lì, nella controtendenza. L’interprete, facendosi Melusina, narra del suo castello infinito, che ha stanze su tutti i territori del pianeta e che in questi primi giorni di agosto abita la stanza della Calabria, regione femminile abbracciata da due mari! 115 scalini da salire, in ripida ascesa fino a dominare il susseguirsi di vette per un Teatro che trova il suo palcoscenico più straordinario anche perché vive l’INCONTRO più autentico con la Natura, la Cultura e il possibile Sviluppo. E’ il palcoscenico dello stare IN: dentro le cose, dentro il mondo, dentro l’Umanità; CON: Tutti e con il Tutto che è magistrale nel bene e nel male; TRA: gli alberi che disegnano i labirinti forestali e i gomitoli di strade e straderelle che s’insinuano in Orsomarso, come in tutti i piccoli paesi di questa Italia delle mille e mille Italie, facendo scoprire, incontrare e percepire i palpiti dei cuori altri e delle anime nuove e antiche. E’ l’UMANO, dunque, che va ricostituito, afferma ancora la Pagano, le opere d’arte totali, come amo chiamare i piccoli comuni, non si donano a noi solo come fonte di bellezza e piacevolezza intrinseche ad esse stesse – quanto piuttosto quali veicoli, strumenti preziosi, mezzi di conoscenza di noi stessi attraverso una più intima indagine e comprensione di tutto quanto vi ha inscritto lo stesso territorio fisico e quanto vi hanno inscritto le generazioni che ci hanno preceduto, il tutto di umano, sociale, fideistico, religioso, architettonico, artistico e via di seguito mettendolo a disposizione dei contemporanei perché se ne possano nutrire. Melusiando è stato scritto in poesia, prosa poetica e musica appositamente per Orsomarso, per il suo peculiare altrove e per l’insieme generato dall’organizzazione che ha coinvolto tanti meravigliosi cuori e luminose anime che hanno fatto crescere il forziere di tesori di quel territorio; Melusiando invita anche ad incontrare l’altrove che sta nel profondo di noi stessi là dove attende che ce ne occupiamo; Melusiando, chiude emozionata la Pagano, è il canto di gratitudine verso tutta la Bellezza che è data a tutti nella più assoluta delle gratuità.
Antonella Pagano e la sua ultima pièce: Melusiando
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