“Le acque del Basento sono potabili. Sono state effettuate analisi approfondite prima di procedere all’utilizzo delle stesse. Dunque accogliamo positivamente l’iniziativa della magistratura di effettuare ulteriori analisi, che confermeranno l’efficacia delle nostre...
Oggi vorrei fare una riflessione sul genocidio avvenuto in Rwanda che provocò più di 500 mila morti tra l’aprile e il luglio del 1994.
Un genocidio mira ad eliminare un gruppo etnico o una parte di esso.
Vorrei ricordare due parole, «hutu» e «tutsi», con le quali normalmente si indicano i due gruppi etnici che costituiscono la quasi totalità della popolazione del Ruanda e del Burundi.
Gli hutu rappresentano circa l’85% della popolazione, i tutsi solo il 14%.
Quei 100 giorni fra aprile e luglio del 1994 hanno posto le basi a una serie di violazioni sistemiche a lungo termine dei diritti dei bambini: uccisioni, stupri e torture, gli abusi e gli sfruttamenti nelle famiglie adottive, la discriminazione, la detenzione senza processo per crimini di genocidio, le malattie, la strada e i soprusi da parte polizia.
La storia racconta che fu impressionante la velocità con la quale l’intera popolazione civile assimilò l’ideologia genocidaria avversa ai tutsi.
I bambini subirono degli attacchi feroci, perdendo completamente la protezione sociale.
Furono uccisi migliaia di piccoli soprattutto a colpi di machete, sottoposti alle stesse mutilazioni degli adulti e, solo in una percentuale minima, finiti da un colpo d’arma da fuoco.
“Hanno circondato il reparto maternità, hanno sfondato i cancelli; è bastato sparare alle serrature. Portavano a tracolla delle cartucciere di cuoio di prima qualità, ma non volevano sprecarle. Uccidevano le donne a colpi di machete e di bastone. Se delle ragazze più svelte riuscivano a scappare nella ressa e a saltare da una finestra, le riacchiappavano in giardino. Se una mamma nascondeva un piccolo sotto il suo corpo, prima la sollevavano, poi facevano a pezzi il bambino e da ultimo la mamma. I neonati, poi, non facevano neanche la fatica di farli a pezzi come si deve; li sbattevano contro il muro per guadagnare tempo, o li gettavano per terra ancora vivi, su una pila di morti […] La mattina eravamo più di trecento tra donne e bambini. La sera, in giardino, eravamo rimaste in cinque sopravvissute, nate dalla parte giusta, tenendo conto delle circostanze, e un bambino.” (Testimonianza di Valèrie, in Hatzfeld)
A causa di questo processo disumano e pieno di ostacoli per l’adozione o l’inserimento in una struttura, nacquero in forma spontanea delle famiglie allargate nelle quali spesso i bambini furono sottoposti a ulteriori forme di sfruttamento e tortura.
Tutto questo è ancora più impressionante se si considera che , i bambini venivano uccisi al pari degli adulti.
Oggi vorrei proporvi come modello questi bambini non perché fossero perfetti, perché i Santi non sono perfetti, ma per amore della loro fede sono stati massacrati.
Nicola Incampo
Responsabile della CEB per l’IRC e per la pastorale scolastica